Colpita soprattutto l’Italia, che dipende fatalmente dall’estero e che comincia con il riaccendere le centrali a carbone, in attesa di un inverno complicato.
I rincari delle bollette sono stati in parte ridotti con la sospensione dal pagamento della voce “oneri di sistema”, con i quali vengono finanziate le energie rinnovabili e tutta una serie di prebende che con l’energia elettrica hanno poco da spartire.
Va ancora peggio con il gas: milioni di italiani che lo utilizzano per scaldarsi riceveranno, a parità di consumi, bollette triplicate.
Il governo ha intenzione di tassare gli extra-profitti delle società che in questi mesi hanno speculato sull’emergenza ma il provvedimento, ammesso che vada in porto, avrà effetto solo l’anno prossimo.
La relazione annuale che il regolatore – Arera – presenta al Parlamento evidenzia che l’importazione di gas naturale avviene in base a contratti pluriennali indicizzati al prezzo del petrolio.
Ma non sono indicizzati a quel prezzo i contratti con i quali l’importatore rivende il gas a valle, che si basa sul TTF della borsa di Amsterdam, un dato estremamente volatile perché si applica a quantità esigue.
Il rapporto che si stabilisce tra importatore e clienti è quindi essenzialmente finanziario, e non più fisico, e gli operatori possono scambiarsi più volte le stesse partite di gas a prezzi sempre più elevati, facendo così lievitare artificialmente il prezzo al consumo.
Nel 2020 il meccanismo ha fatto sì che, a fronte di una immissione nella rete nazionale di 70 miliardi di metri cubi di gas, siano state scambiate partite di gas per circa 368 miliardi, cinque volte le quantità fisiche.
Permetterlo in tempo di guerra è stato devastante!
Il cliente finale paga poi un prezzo ancora maggiore, che include i ricarichi e il costo del trasporto del gas in rete.
Il costo del gas naturale indicizzato al Brent (prezzo pagato dagli importatori) è passato così dai 22 centesimi al metro cubo standard del gennaio 2021 ai 53 del giugno 2022.
L’incremento dovrebbe riguardare solo il gas contrattualizzato a giugno 2022, non quello contrattualizzato in precedenza.
Invece nello stesso periodo il prezzo TTF (applicato dall’importatore a intermediari e distributori) passa da 0,22 a 1,30 €/smc, con un rincaro del 489%.
In questo modo il prezzo pagato dall’utenza non ha più alcun rapporto con quello pagato dall’importatore.
Per spezzare la catena speculativa sarebbe sufficiente obbligare gli importatori a fissare il prezzo di vendita del gas in base ai prezzi di acquisto, pur sommandovi un adeguato profitto di impresa.
Si potrebbe inoltre vietare l’accesso al mercato ai troppi che svolgono esclusivamente attività di intermediazione: 250 soggetti, tra grossisti, venditori e operatori misti.
Ma evidentemente la decisione scontenterebbe quanti da anni in Italia speculano liberamente sul gas sotto il “monitoraggio” consenziente di Arera, ricavando margini che, secondo alcuni magistrati, andrebbero in parte a finanziare la politica.
E così anche il governo, anziché imporre i necessari correttivi in sede nazionale, preferisce ricorrere alla Commissione Europea chiedendo a marzo di fissare un tetto al prezzo massimo del gas.
Non ricevendo alcun riscontro, a fine di giugno chiede una riunione del Consiglio Europeo da tenersi a luglio sul tema energetico.
Ma il Consiglio si limita ad invitare la Commissione a produrre uno studio entro settembre per discuterne nel Consiglio di ottobre.
La formula utilizzata è la seguente: “Il Consiglio europeo ribadisce il suo invito alla Commissione ad esplorare con i nostri partner internazionali i modi per contenere l’aumento dei prezzi dell’energia, compresa la possibilità di introdurre tetti temporanei ai prezzi delle importazioni dell’energia, dove appropriato”.
Successivamente il governo punta sulla diversificazione delle forniture, avviando una vera e propria questua di gas “virtuale” in Angola, Congo e Mozambico.
Virtuale perché la risposta è sempre la stessa “se volete il gas venite a scavare”.
Quindi adesso speriamo sul gas che proviene dall’Algeria, che già fornisce circa il 30% del fabbisogno italiano. L’aumento previsto dovrebbe essere di 3 miliardi di m3 nell’immediato, che diventeranno 6 miliardi nel 2023 e 9 miliardi successivamente.
E così le chiavi della nostra economia passeranno dalle mani della Russia a quelle dell’Algeria, paese dove anche i russi scavano da anni e ad alta instabilità politica,
.Alla fine giugno il fallimento della politica energetica italiana è conclamato. Carlo Calenda, leader di Azione e fresco vincitore delle elezioni amministrative di Roma, rilancia il nucleare, invitando il governo a rivalutare l’opzione.
Ma la proposta cade nel vuoto: i tempi del nucleare vanno ben oltre la scadenza della legislatura, e i politici italiani preferiscono decidere giorno per giorno e solo nella logica dell’emergenza; il futuro del paese è argomento che affronteranno altri.
A proposito di futuro, c’è chi rammenta che la nuova crisi energetica deriva anche dalle improvvide decisioni assunte dopo Chernobyl e dopo Fukushima.
Grazie a quelle decisioni (“il metano ti dà una mano”) le chiavi del nostro sistema elettrico (e della nostra economia) sono passate dalle mani di chi ci forniva il petrolio negli anni Settanta a quelle di chi ci fornisce oggi il gas naturale, senza che i governi che si sono succeduti abbiano fatto alcunché per riorientare le scelte, limitandosi ad accettare supinamente le follie che Bruxelles e gli ambientalisti ci hanno imposto sulle fonti rinnovabili.
Senza considerare il fatto che gli altri partner europei potevano pagare quelle follie grazie alle sostanziose quote della produzione elettrica affidate al nucleare e al carbone.
Nel 2022 il sistema elettrico italiano si trova ancora nell’occhio del ciclone.
Eppure siamo ancora costretti ad ascoltare imbecillità come “il nucleare non avrebbe risolto il problema” oppure “tutto ciò accade perché non abbiamo investito abbastanza sulle fonti rinnovabili”.
Mi piace:
Mi piace Caricamento...