Le sorprese del mercato libero

La crisi ucraina ha disorientato i mercati energetici europei, e quello italiano in particolare, influenzato anche dal passaggio dal mercato tutelato a quello libero.

Ma cosa implica il passaggio al mercato libero?

Al di là del prezzo, di energia elettrica o di gas, il contratto di “mercato libero” non sarà più “tutelato” dalle clausole specifiche, imposte da Arera, ma lasciato alla libera contrattazione delle parti che avranno come riferimento unicamente il Codice Civile e forse, tirato per i capelli, il Codice di Consumo, da tutti dimenticato.

Le nuove condizioni richiedono necessariamente che i consumatori siano in grado di reperire, e comprendere,tutte le informazioni, sia di tipo economico che legale, prima di sottoscrivere un nuovo contratto.

Ora, siccome in Italia i contratti di luce e gas vengono sottoscritti senza capirli, e qualche volta senza neppure leggerli, ecco che 800 (!) fornitori, molti dei quali senza scrupoli, ne approfittano.

Già da un paio di mesi, ai clienti di mercato libero del gas, stanno arrivando le bollette relative ai consumi dei primi mesi freddi, quando cioè si utilizza il riscaldamento.

In migliaia di casi, segnalati in Liguria, le bollette del gas sembrano impazzite e il costo del riscaldamento raddoppiato, se non triplicato.

E questo non solo perché  governo ha deciso di ristabilire i due scaglioni originali dell’IVA (10% applicato ai primi 480 m³ e il 22% sul restante), di rimettere gli oneri generali di sistema e di ridurre l’ISEE che dá diritto al bonus sociale.

La crisi del 2022 aveva fatto esplodere il prezzo all’ingrosso del gas  – da 20 a 300 €/MWh – e i fornitori, dopo aver realizzato cospicui extra profitti, tanto da costringere il governo Draghi a tassarli, ha pensato bene di replicarli, offrendo prezzi fissi abnormi per due anni, con pesanti conseguenze per i consumatori.

I clienti di mercato libero devono necessariamente tenere sotto controllo le bollette e, in particolare, le scadenze che sono indicate sulle bollette. Curiosamente le scadenze sono distinte: una del contratto, quasi sempre a tempo indeterminato, e l’altra delle condizioni economiche.

Nel 2023, ai clienti di mercato libero, cui scadevano le seconde, i fornitori hanno proposto modifiche di prezzo che restavano comunque soggette all’accettazione del cliente.

Le proposte, infatti, sarebbero state inviate mesi prima della scadenza delle condizioni economiche , ma  senza una prova che siano state realmente spedite,non occorrendo una raccomandata come peraltro consentito dal codice di consumo.

Ammesso quindi che siano state regolarmente spedite, e ammesso anche che l’utente non le abbia, volutamente, o inavvertitamente cestinate, le proposte prevedevano prezzi fissi con durata di 24 mesi.

Le proposte spedite prima dell’estate 2023  non hanno avuto alcun effetto sulle prime bollette estive, quando il consumo di gas è nullo mentre il bubbone sta scoppiando ora, quando vengono fatturati i consumi dei primi mesi freddi.

Questo é un esempio dove il prezzo del gas é scandaloso.

Analizzando casi di tutto il territorio nazionale, si scopre così che il costo del riscaldamento a gas è raddoppiato, quando non triplicato, e non sono neppure possibili azioni correttive a meno di dare disdetta e pagare le eventuali relative penali, tipiche nei casi di prezzo fisso.

Quindi, mentre a fine anno il governo discuteva se prorogare o meno il mercato tutelato, i fornitori del libero mercato si erano già abbondantemente “coperti” da eventuali oscillazioni  del mercato internazionale.

Un mercato che paga oggi il gas all’ingrosso dieci volte meno che al dettaglio. Che poi è la stessa cosa che hanno fatto a Bruxelles stabilendo un price cap di 180 €/MWh quando oggi è a 25.

Il consiglio resta quello di prendere assolutamente coscienza dei propri consumi perché, in questa situazione, solo consumando meno si può risparmiare.

Dovrete inoltre verificare tutte le informazioni, peraltro reperibili su ogni bolletta, in merito alle letture dei contatori, al prezzo della materia prima e delle spese accessorie con particolare attenzione alle date di scadenza.

Il legislatore dovrebbe invece dedicarsi ad informare la popolazione dei consumatori e spiegare come si sia potuti arrivare ad una bolletta così complicata in totale spregio di quanto previsto all’art. 13 del Codice di consumo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Breve storia dell’energia (2): il CIP 6

Il 1992 é l’anno di “Tangentopoli” .

Enel diventa una S.p.A. e per un po’, il tempo per capire quanti miliardi siano girati in tangenti ai partiti, non costruirà più centrali.

La politica deve così trovare altri metodi per fare cassa.

Come sempre viene in aiuto l’Europa dove si parla da tempo di energia rinnovabile e, miracolo, ecco gli incentivi a pioggia.

Solo per gli incentivi, i privati costruiranno centrali al posto di Enel e gli incentivi saranno d’ora in poi prelevati direttamente dalle bollette.

Con il CIP 6 saranno i privati a produrre energia,vendendola ad un prezzo “politico”.

Ma la vera invenzione del decreto CIP6 é l’energia “assimilata” sulla quale c’è gente che campa dal 1992.

Come possano venire assimilati alle energie rinnovabili, gli scarti di raffineria, i rifiuti e lo stesso gas naturale resta un mistero.

La “Convenzione  CIP6” lasciava ampi spazi interpretativi e veniva rilasciata in base a graduatorie, stilate per tipologia di impianto e di combustibile.

La graduatoria nasceva sulla base di semplice richiesta: bastava indicare un sito, che poteva anche non essere quello definitivo, e la potenza installata.

Senza neppure verificare i titoli del richiedente, una volta in graduatoria, veniva concessa la possibilità di trasferire, non solo la titolarità della Convenzione, e quindi la sua proprietà, ma addirittura il sito produttivo.

Si creavano così veri e propri crediti finanziari trasferibili: piccole società, o i loro titolari, entravano in graduatoria con più siti, rivendibili speculando.

Con il CIP6 vengono cosí costruite centrali dappertutto.

Ne approfittano subito i grandi gruppi industriali, che già producono energia per proprie esigenze, e le municipalizzate, con i primi inceneritori.

Ma ne approfittano anche società di scopo senza alcun impianto, che solamente intendano utilizzare, qualsiasi tipo di combustibile come per es. il catrame, i combustibili da rifiuti, gli scarti di lavorazione e i cascami termici.

Si racconta che il termine assimilate venne aggiunto di notte, in un momento di distrazione generale dei parlamentari; i lobbisti si superarono spiegando a chi votava che, in fin dei conti, anche il gas naturale era in qualche modo rinnovabile, anche se in milioni di anni.

Il decreto viene ancora oggi periodicamente aggiornato e, ad ogni inutile tentativo di ridurre il costo delle bollette, si parla di cifre diverse.

Non c’è traccia delle prime graduatorie, come se si volesse dimenticare la vicenda, che invece pesa ancora come un macigno sulla voce A3 della bolletta.

(continua…)

 

#dodobeltrame

Breve storia dell’energia (1):nazionalizzazione, referendum e tangenti

Nel 1962, in pieno boom economico, i politici realizzano che l’energia elettrica sarà un grande affare per un paese energivoro come l’Italia e, su richiesta dei socialisti, Fanfani la nazionalizza, creando ENEL – Ente nazionale per l’energia elettrica e trasferimento ad esso delle imprese esercenti le industrie elettriche – che rileva, strapagandole, tutte le imprese elettriche nazionali.

Fino ad allora, l’energia elettrica era prodotta e distribuita da aziende di piccole dimensioni, sparse sul territorio, in qualche modo collegate e controllate da poche aziende più grandi.

Enel rileva anche tre centrali nucleari – delle 52 operanti nel mondo – oltre a quelle  a carbone e numerose idroelettriche.

Le industrie elettromeccaniche lavorano su licenze americane, svizzere e tedesche per le grandi centrali termoelettriche, che Enel costruirà negli anni ’70.

Nel 1973, la prima crisi petrolifera, confermerà che il programma nucleare, che prevedeva la costruzione delle centrali di Caorso, Montalto di Castro e Trino Vercellese, era non solo corretto ma anche lungimirante.

Il piano energetico nazionale del 1975 consente a Enel di proseguire gli studi sull’energia nucleare e di ottenere l’autorizzazione a costruire nuove centrali.

Nel 1979 la seconda crisi petrolifera giunge in piena crisi economica e i consumi crollano.

Enel non costruisce più centrali e le industrie elettromeccaniche, che lavoravano prevalentemente per Enel con commesse peraltro molto remunerative, hanno successo all’estero con il GIE.

Nel 1983 arriva il gas algerino. I comuni ottengono contributi per distribuirlo e acquisiscono il controllo del territorio, erogando servizi energetici.

L’acqua va ai democristiani e il gas ai socialisti

Sono gli anni delle lottizzazioni e delle prime grandi tangenti, con la benedizione del CDA dell’Enel, rappresentanza diretta del pentapartito al governo.

Dobbiamo a quel periodo buona parte dell’attuale debito pubblico.

Tutti sono responsabili e quindi nessuno è responsabile, proclama Craxi in Parlamento.

Nel 1986, dopo l’incidente di Chernobyl, con un referendum dall’esito scontato, ma senza che venisse spiegato quanto sarebbe costata le rinuncia, termina l’esperienza nucleare italiana; vengono chiusi la centrale di Caorso, che ha prodotto poco o niente, e i cantieri di Montalto di Castro e Trino Vercellese.

Tutti gli investimenti dell’industria elettromeccanica vanno perduti, ma i costi per lo smantellamento del nucleare finiscono in bolletta: li stiamo pagando oggi e li pagheremo per sempre.

Le centrali termoelettriche vengono convertite a gas, il cui prezzo è legato a quello del petrolio, con la differenza che il gas dovrà essere pagato a russi, algerini e libici, anche se non lo si utilizza.

I primi vagiti ambientali denunciano i fumi delle centrali a carbone e anche i costosi sistemi di trattamento dei fumi verranno spartiti a suon di tangenti.

Nel 1992, a trent’anni dalla sua costituzione, ENEL diventa una società per azioni e si cambia gioco: arrivano gli incentivi.

(continua..)

#dodobeltrame

Ricariche e blackout

Una colonna = un condominio

Le colonne di ricarica spuntano come funghi ma, con l’arrivo del caldo, i milanesi si preparano ai blackout.

In attesa delle indicazioni del regolatore, il remunerativo business delle stazioni di ricarica prosegue con grande soddisfazione di venditori e distributori.

Per dare nuova potenza elettrica, che per la ricarica delle macchine è tanta, bisogna modificare la rete di distribuzione proprio per evitare disagi a quelli che l’auto elettrica non hanno.

Si installa ,cioè, una colonna di ricarica della potenza di un condominio di cinquanta appartamenti solo dopo aver capito come influenzerà il sistema elettrico della zona.

Se non lo si fa bene, anche quest’anno avremo i blackout e non sarà solo colpa del caldo.

Ma chi paga la connessione delle stazioni di ricarica alla rete di distribuzione? Non sarebbe stato meglio rinnovare la rete prima di installare le stazioni di ricarica? Qual’è il criterio del loro posizionamento? È vero che chiunque può chiederne l’installazione?

Le ricariche sono di tipo diverso, il suolo è pubblico e il suo utilizzo dovrebbe essere regolato. E non si sa ancora come viene effettuata la misurazione.

Questo succede a Milano ma nel resto del paese si segue lo stesso non-criterio?

Nel dubbio i distributori si sono cautelati!

Razionare si deve!

Dovremmo consumare di meno perché la nostra principale risorsa energetica è il risparmio!

Lo abbiamo fatto lo scorso inverno con il gas, anche perché era carissimo.

Poi non c’è stata alcuna campagna di sensibilizzazione ma solo martellanti e torbide offerte commerciali.

Ma come si fa, per esempio, a non sprecare l’acqua se non costa nulla?

Dovremmo darci una regolata come negli anni ‘70: per sei mesi a letto presto e niente gite nei fine settimana.

Qualcuno in Europa ci ha già pensato: la Germania, dopo aver spento le luci dei negozi nelle notte invernali, pensa di razionare il gas il prossimo inverno e premiare il minor consumo di energia elettrica.

A Milano, i negozi tengono le porte aperte per tutto l’inverno riscaldando l’atmosfera !

In Francia ha sempre funzionato il “non consumare in quei giorni”.

Sono gli stessi francesi, che ci permettiamo di criticare perché ci forniscono il 15% dell’energia elettrica che produciamo.

Metodo semplice ed efficace: previsti 22 giorni di picco in un anno, durante i quali l’energia costerà un patrimonio.

Gli utenti, preventivamente informati, diminuiranno volontariamente il consumo, risparmiando e dando una mano al sistema.

Una bolletta francese

I francesi pagano molto meno

La bolletta francese é semplice e dovremmo adottarla da subito anche in Italia. Basterebbe chiedersi a chi serve la bolletta e quali sono le informazioni essenziali che una bolletta deve dare al consumatore.

Un criterio che Arera, il regolatore, ignora da decenni: la bolletta italiana deve essere complicata proprio perché nessuno la legga! Sembra uno scherzo ma é così!

In Francia é sufficiente mezza pagina per dare all’utente tutte le informazioni di cui ha bisogno: quanto consuma e quanto paga.

In questo caso sono 82,42 € per 343 kWh.

Sorpresa: il contratto é di 6 kVA.

Da noi la potenza é quella attiva – kWh – e da poco una sezione della bolletta é dedicata all’energia reattiva che fino ad un certo limite é gratuita.

Il prezzo lordo francese é di 24 cent/kWh dei quali 13,74 per la materia prima. La potenza contrattuale in questo caso é il doppio di quella dell’utente domestico tipo italiano, secondo Arera.

Nella bolletta sono inoltre inclusi due mesi di trasporto in abbonamento (fissi). Le tasse pesano per il 12% e l’IVA per il 10%

Devastante il confronto con le nostre bollette, nella forma e nella sostanza. Nello stesso periodo la materia prima in italia costava più del doppio.

Chi copre il buco

La Delibera n° 396/2021 di Arera attua le misure del Governo per calmierare il costo delle bollette del mercato tutelato del quarto trimestre 2021: sono 4 miliardi, dopo 1,2 miliardi messi a disposizione per il trimestre precedente.

La delibera recita: “Cassa e GSE prevedono che la liquidità complessiva dei conti di gestione si esaurisca verso la metà dell’anno 2022, diventando negativa nella seconda metà del medesimo anno”

La sospensione temporanea del pagamento degli oneri di sistema, solo per alcune categorie di consumatori creerà, nel 2022, un buco di 7,5 miliardi di euro e i produttori di energia rinnovabile non verranno pagati.

Vista l’emergenza energetica, peraltro fuori controllo, sarebbe stata un’ottima occasione per affrontare il problema degli oneri di sistema che pesano sulle bollette per oltre 15 miliardi di euro all’anno.

Imbarazzante l’ottimismo del Governo nel prevedere da un lato il rialzo del PIL del 6% e dall’altro far pagare alle industrie, con potenza installata maggiore di 16,5 kW, bollette talmente salate da costringerle a ridurre la produzione se non a chiudere l’attività.

In presenza di una volatilità dei mercati energetici sempre più marcata, e di un tasso d’inflazione esplosivo, gli interventi trimestrali spostano solo la resa dei conti che arriverà a gennaio, quando verranno annunciati i prossimi aumenti.

1 ottobre 2021

Occhio al rogito!

Attenzione al contatore quando acquistate un immobile!

Dalle verifiche il contatore risulta manomesso e il consumo reale era maggiore di quello misurato.

Il contatore “rubava”, ma era stato manomesso prima dell’acquisto, il precedente proprietario rubava energia elettrica e quello nuovo non ne sapeva nulla.

Un lettore del blog dieci anni fa acquistava un immobile e l’anno scorso gli hanno sostituito il contatore dell’energia elettrica.

Manomettere un contatore di energia elettrica non è un’operazione semplice e può essere effettuata solo da chi lo conosce bene.

Per una clamorosa dimenticanza del MISE – ministero dello sviluppo economico – manca un sigillo posto su una una vite, svitando la quale è possibile entrare nel contatore e modificarne il circuito di misurazione.

Se l’operazione fraudolenta viene effettuata alla prima installazione del contatore, il consumo dei successivi 15 anni sarà molto più basso, senza che il distributore se ne accorga.

Ma quando se ne accorge, come é poi accaduto, sarà l’ultimo utente a restare con il cerino in mano e a risponderne.

Prima pagherà la maggiore quantità di energia elettrica consumata negli ultimi due anni (oltre oltre c’è la prescrizione) e poi dovrà difendersi, in sede penale, dalla denuncia di furto di energia.

Meglio verificare, all’acquisto dell’immobile, tutti gli strumenti di misura installati e verbalizzare con il notaio anche lo stato delle utenze.

Illegali per decreto

20150123_171918

“I dispositivi ed i sistemi di misura per i quali la normativa in vigore fino al 30 ottobre 2006 non prevede i controlli metrologici legali, qualora già messi in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto, potranno continuare ad essere utilizzati anche senza essere sottoposti a detti controlli, purché non rimossi dal luogo di utilizzazione”.

Recita il  decreto di recepimento di una Direttiva europea del 2004 – nota come MID – sugli strumenti di misura, tra i quali i misuratori di energia elettrica.

Per decreto, strumenti di misura mai omologati, e quindi illegali, possono così continuare a conteggiare i nostri consumi, e per miliardi di euro.

Non essendo mai stati omologati, non esistono le procedure di prova e così non possono neppure essere verificati da terzi, in un eventuale contraddittorio.

Paghiamo così energia elettrica, che viene misurata in spregio a qualsiasi regola, da contatori che sono tutti confiscabili in forza del art. 692 C.P.

Dopo quattordici anni le cose non cambiano: in forza di un altro decreto, e senza nessuna logica, i contatori di energia elettrica dinamici (ndr. quelli con la rotellina che gira) potranno funzionare per diciotto anni mentre quelli elettronici della foto per dieci.

 

 

L’allegra gestione del freddo

Gas a 35€/MWh, il doppio rispetto all’anno scorso; la quota energia vale un terzo del valore della bolletta e quindi l’aumento atteso a gennaio è del 15%.

Le prime piogge hanno spento le rinnovabili e placato i loro sostenitori e, come ogni inverno, il “fossile” passa alla cassa.

Patetico incolpare il freddo, perché siamo solo in dicembre, eccezionale invece il programma di manutenzione del gasdotto del nord, che dimezzerà il flusso del gas fino a marzo 2019.

Ecco allora lo stato di pre-allarme diramato dal ministero.

La manutenzione di un tubo del gas, o di un impianto nucleare in Francia ci stanno e non dovrebbero portare a situazioni di emergenza ma in Italia tutto è emergenza a cominciare dalle condizioni avverse del tempo che, statisticamente e fortunatamente, si risolvono sempre in una settimana.

Eppure riusciamo a dare il meglio anche in quelle occasioni perché le emergenze in Italia portano disagi al popolo ma enormi vantaggi ai furbi.

Facciamo allora un ulteriore passo indietro, al gennaio 2015 quando si pompava troppo gas dagli stoccaggi perché ne arrivava poco dalla Russia.

Il ministero spiegava : “La condizione di allarme prevede che siano gli operatori a mettere in campo tutte le azioni di mercato più opportune per consentire il ritorno alla normalità”.

Quello che non dicono è che il gas in allarme si paga molto di più, come è giusto che sia.

Il giorno dopo l’allarme si materializzava una metaniera al largo del gassificatore di Livorno dove scaricava 60.000 di m3 di gas liquefatto equivalenti a 36 milioni di m3 di gassoso.

Un nulla per la rete, ma un tempismo perfetto!

Un ulteriore salto indietro. Nel febbraio del 2012 faceva molto freddo e il consumo giornaliero era di 440 milioni di m3 al giorno senz’altro un record, stando alle dichiarazioni di Scaroni.

Tra l’ilarità generale di una sala d’albergo di Milano, l’AD di Eni disse che in Russia faceva freddo e che i russi si tenevano il loro gas se no sarebbero morti. Aggiunse, con grande serenità, che se i consumi fossero rimasti a quel livello ci sarebbe stato gas solo per tre giorni.

Cioè negli stoccaggi c’erano solamente 1,5 miliardi di m3. Spariti gli stoccaggi strategici che servono proprio per queste evenienze, già pagati profumatamente dalle bollette.

Monti non si chiese neppure come mai non ci fosse gas negli stoccaggi, e di chi fosse la colpa ma, da buon tecnico, andò subito nel panico e autorizzò l’accensione delle vecchie centrali a olio combustibile, che rimasero pronte a produrre fino al luglio, perché anche Enel doveva banchettare.

Il senatore Mucchetti, scrisse sul Corriere un pruriginoso articolo dove metaniere andavano e venivano e i conti del gas, presente o assente, non tornavano.

Gli attuali criteri per stabilire i gradi di allerta e di emergenza sono talmente obsoleti che il prezzo in emergenza può valere anche 4/5 volte quello di borsa.

Solo quando finisce l’emergenza diventa chiaro come è stata affrontata, non si sa mai chi ci ha profumatamente guadagnato, ma si sa con certezza chi ha pagato.

Il conto infatti arriva nei mesi successivi con le bollette, quando ormai dell’emergenza si sono dimenticati tutti e il sole è tornato a splendere.

La SEN, strategia energetica nazionale, avrebbe dovuto affrontare prima di tutto questo problema che si ripresenta puntuale ad inverni alterni per la felicità dei molti che sulle emergenze del paese sguazzano.

Chi paga la grid parity?

Grande risalto mediatico alle concessioni di centrali di produzione di energia rinnovabile, vinte a da Enel all’estero.

I prezzi di aggiudicazione, che comprendono la costruzione degli impianti e la vendita ventennale dell’energia prodotta, sono un decimo di quanto i produttori italiani incassano con i primi conti energia.

Con la voce “oneri di sistema” della bolletta il consumatore rende felici i produttori di energia rinnovabile.

Sono 13 miliardi di euro all’anno, per i prossimi dieci, eppure si organizzano simposi dove si parla a vanvera di grid parity che si dovrebbe raggiungere quando l’energia elettrica, prodotta con sole e vento, costa quanto produrla con il fossile, e le due energie sono disponibili in rete.

Ma, dipendendo da sole e vento, l’energia da rinnovabile é discontinua e allora il consumatore paga i produttori solo per tenere ferme, ma pronte a funzionare, le centrali a fossile , cioè a gas, carbone o petrolio.

Vero é che con sole e vento migliora il clima, ma quanto ci costa e chi ci guadagna?

La grid parity andrebbe sempre valutata da due punti di vista: da quello di chi l’energia la produce, e la vende, e da quello di chi la acquista.

Al consumatore italiano la grid party interessa molto meno di chi invece gliela offre, certificata, con una certa leggerezza, e ad un prezzo di affezione.

In Italia le grid parity sarebbero due: quella raggiunta con gli incentivi e l’altra che, senza incentivi, in realtà non esiste. Non esiste perché se ci fosse stata avrebbe ridotto drasticamente la differenza tra il prezzo all’ingrosso e quello al dettaglio, cosa che invece non é accaduta.

La grid parity all’italiana è onirica: bello bruciare meno fossile e mantenere l’aria pulita, peccato però che tutto venga posto a carico dei consumatori.

Per il consumatore é anzi andata molto peggio perché ora non solo non approfitta del basso prezzo del petrolio ma paga l’energia più cara in Europa.

Se avessimo per tempo previsto queste distorsioni e avessimo sbottigliato il sole del sud verso il nord, o solo verso la Sicilia, o il vento della Sicilia verso il continente, potremmo oggi parlare di grid parity.

Avessimo, con tali risorse, strutturato una filiera industriale.

Nulla! I pannelli sono cinesi, le pale eoliche danesi o tedesche, gli inverters cinesi o tedeschi, i quadri di potenza francesi e tedeschi, i contatori cinesi, commercializzati e controllati dal distributore monopolista, di proprietà della stessa società che vince le concessioni all’estero.

In compenso i fondi verdi ci sfilano i soldi dalle tasche a ogni bolletta e li spediscono esentasse in Lussemburgo, per la soddisfazione di banche e finanziarie estere.

Alla fine avremo speso centinaia di  miliardi e non avremo creato nulla se non una montagna di debiti, che peseranno sulla prossima generazione.

.

Manovra sulle bollette

Gli oneri di sistema valgono un terzo della bolletta dell’energia elettrica e, senza consumare un solo kWh, paghiamo bollette da 30€ al mese.

Al solo scopo di incassare gli oneri di sistema, i venditori si inventano kWh inesistenti che non vengono né trasportati né consumati: le bollette sono degli autentici falsi.

Ovvio che c’è qualcosa che non funzione e allora ecco l’idea: toglierli dalle bollette e trasformarli in tasse, facendoli pagare a tutti, utenti e non.

Se è possibile “socializzare” i buchi delle banche, e nessuno spara, perché non farlo con le bollette?

Sono 16 miliardi di euro all’anno!

Con la morosità in crescita, i primi fallimenti e il rischio di non incassarli tutti, devono essere messi al sicuro come tasse.

Il presidente uscente dell’Autorità per l’energia sarà ricordato per aver abbassato le stesse bollette che, durante il suo mandato sono  diventate le più care d’Europa.

Sembrano ormai tutti d’accordo: un TAR ha definito gli oneri  “parafiscali” mentre AGCM, riconosce che “al crescere del peso relativo degli oneri di sistema, nonché del tasso di insolvenza dei clienti finali legato anche alle difficoltà create dalla crisi economica, le citate previsioni contenute nei contratti di distribuzione hanno determinato una situazione di crescente esposizione debitoria dei venditori nei confronti dei distributori stessi, che ha portato in alcuni casi alla risoluzione del contratto di trasporto, e conseguentemente all’uscita dal mercato di alcuni soggetti”.

Cioè il problema non è l’utente, che non riesce più a pagare le bollette, ma che quelli che trasportano energia elettrica, oppure la producono incassando gli incentivi, continuino a guadagnare, a prescindere.

AGCM parla di  “ridotta marginalità e quindi una scarsa capacità competitiva dei venditori non direttamente riconducibile a carenze di efficienza, bensì a effetti di clausole contrattuali che, addossando sui venditori la responsabilità integrale del pagamento degli oneri di sistema, determinano una ripartizione del tutto squilibrata del rischio derivante dalla insolvenza dei clienti finali relativamente a elementi, quali gli oneri di sistema, che prescindono dalla gestione industriale del servizio”.

Il problema di un umbundling farlocco viene sfiorato da AGCM: “Il descritto effetto di alterazione del mercato aggravato dalla circostanza che nel mercato italiano della vendita di energia elettrica al dettaglio operino in concorrenza fra loro soggetti presenti solo in questo segmento della filiera e soggetti verticalmente integrati, a monte, nella distribuzione”.

AGCM non può assolutamente dire che Enel, con 44 milioni di nuovi contatori, avrà il totale controllo della misurazione e quindi del mercato; e questo in concomitanza con la fine del mercato tutelato.

Secondo AGCM ci sono oggetti che “oltre a godere di vantaggi nella gestione finanziaria del rischio di insolvenza dei clienti finali in quanto appartenenti a gruppi societari (parent company guarantee) – possiedono, data la contestuale natura di concorrenti diretti e controparte obbligatoria dei soggetti venditori non integrati nei richiamati contratti, forti incentivi a comportamenti anticoncorrenziali”.

Il risveglio di AGCM mette anche in luce “la carenza di potestà regolatoria della stessa Autorità per l’Energia” nel senso di “carenza di potere di ( etero ) integrazione del contratto tra distributore e venditore rispetto alle previsioni in materia di garanzie per la parte relativa agli oneri”.

Si capisce poco se non che l’Autorità ha le sue colpe!

E così, in attesa delle nuove tasse, tutti avranno fatto il proprio lavoro: AEEGSI nutrire il sistema, con cifre da capogiro senza opporsi, AGCM di ritenere solo ora “necessario e urgente un intervento di carattere normativo” con due opzioni: “riconoscere pienamente la natura fiscale degli oneri ed eliminare la necessità di una loro specifica trattazione nell’ambito delle pattuizioni fra venditori e distributori”; oppure “prevedere una diversa distribuzione del rischio finanziario derivante da un’eventuale insolvenza dei clienti finali per gli oneri di sistema, in modo tale che lo stesso sia ripartito nell’ambito della filiera elettrica, evitando che esso gravi unicamente sulla parte liberalizzata del mercato”.

Traduzione: se ne occuperanno come sempre Governo e Parlamento che, con i tempi che corrono, non potranno che metterci le mani nelle tasche, con la novità che lo faranno anche se non consumiamo nulla, come peraltro stanno già facendo.

Ci si chiede a cosa servano le Autorities visto che ci costano centinaia di milioni all’anno.

 

La farsa del Montenegro

La connessione elettrica con il Montenegro é solo uno dei tanti progetti che vanno avanti solo perché non si può tornare indietro.

I numeri che giustificano l’investimento non ci sono, un’analisi costi/benefici condotta da un ente indipendente neppure.

Così, proroga dopo proroga, Terna procede nella costruzione di un elettrodotto considerato “un tassello del progetto europeo di interconnessione”.

Con il Montenegro? E perché proprio con il Montenegro?

Dal tempo dei governi Berlusconi, sponsor dei nostri rapporti con il Montenegro, la geopolitica energetica dei Balcani é mutata eppure, come sempre, insistiamo su progetti nati male, vecchi e basati solamente sul fatto che verranno pagati dalle bollette dei consumatori.

Il progetto si basa su accordi pregressi tra Italia e Serbia e su un prezzo dell’energia da fonti rinnovabili da importare di 155 €/MWh, quattro volte il prezzo attuale dell’energia elettrica in borsa.

Il catastrofico intervento di A2A, che è stata il volano di questa avventura, si conclude in questi giorni con una perdita secca per A2A di 186 milioni di euro e un piano di rientro, a rate annuali, tutto da verificare.

Tutti i consumatori italiani, che hanno finanziato questa avventura con le bollette, e in particolare gli azionisti di A2A ringraziano per lo spettacolo.

La linea di trasmissione però non si può fermare!

Così il si esprimeva il Mise tre anni fa: “l’opera è meno pressante…….Terna rende noto che il progetto potrebbe accumulare notevoli ritardi e …. rilevanti aggravi dal punto di vista economico ancora non previsti negli attuali piani di spesa……. ridurre il costo dell’opera, a carico della parte italiana, che sarà caricato sulla tariffa di rete……il finanziamento di una quota del progetto sarà realizzata con il meccanismo dell’interconnector coinvolgendo i finanziatori privati, cui erano stati assegnati i progetti di interconnessione con il Nord-Africa, ritenuti poi tecnicamente non praticabili.  Agli stessi soggetti viene ora assegnata la capacità sulla frontiera con i Balcani”.

A quanto ammontano i finanziamenti privati? A quali condizioni viene ora assegnata la capacità in attesa del completamento della linea?

Dopo aver manifestato perplessità, anche Terna ringrazia perché un paio di miliardi in più fanno comodo mentre dire che la linea “aumenterà la competitività del mercato” non costa nulla.

La borsa elettrica montenegrina non é mai esistita e fa riferimento a Ungheria e Romania, dove il baseload é di 34 €/MWh, cui andrebbero aggiunti i costi di trasporto verso l’Italia dove il baseload é di 37 €/MWh.

Perché, con questi numeri,le società energivore nazionali dovrebbero finanziare l’opera?

Per collegare la Calabria alla Sicilia ci sono voluti dieci anni e lo stretto di Messina non é l’Adriatico: in Italia i conti economici e le analisi costi/benefici sono inutili,come la Brebemi,la TAV o il TAP!

Contatori illeggibili

In un condominio ligure, nel 2006, dodici contatori dinamici (ndr. quelli con la rotella che gira), furono sostituiti con gli elettronici e sistemati insieme in un armadio, dove sono tuttora.

IMG_1067

Undici contatori non sono omologati e uno riporta le marcature conformi alla Direttiva Europea MID.

Il display a cristalli liquidi, degli undici contatori illegali, è illeggibile: non é quindi possibile per l’utente verificare il consumo e se le bollette sono corrette.

I contatori fanno parte di un sistema complesso di lettura, concentrazione e gestione del dato di consumo e sono manipolabili da chi distribuisce energia elettrica nella zona.

Del sistema, il consumatore sa poco o nulla mentre il distributore, da remoto, può fare quello che vuole: se non paghiamo la bolletta, ci viene ridotta la potenza e, appena paghiamo, tutto ritorna normale.

Non esiste,allo stato, alcuna codifica delle operazioni che un distributore di energia elettrica può, o non può fare da remoto senza renderne conto a nessuno e tantomeno al consumatore.

E ciò é pacificamente illegale, anche se i contatori sono omologati.

In attesa che il MISE – Ministero dello Sviluppo Economico – a cui compete il problema chiarisca la situazione, se il display del vostro contatore è spento, sospendete i pagamenti fino alla sua sostituzione,per la quale sarà necessario il vostro assenso scritto,e alla ricostruzione storica dei consumi.

 

Le biomasse all’italiana

Le c.d. biomasse sono il legname da ardere, gli scarti agricoli forestali e dell’industria agroalimentare, i reflui degli allevamenti, parte dei rifiuti urbani e le specie vegetali coltivate allo scopo di produrre energia elettrica.

La combustione della biomassa libera nell’aria il carbonio, immagazzinato durante la sua formazione, e lo zolfo,ma in minor quantità rispetto alla combustione di carbone e petrolio.

Bruciare biomassa, che non va assimilato alla termo-distruzione dei rifiuti urbani, comporta l’emissione di particolato – PM – che limita la circolazione delle auto in città. Con le biomasse si può produrre energia e ci si può scaldare.

1) Biomasse per produre energia elettrica

La tabella del GSE mostra come sono incentivati gli impianti.

Solamente impianti di piccola taglia, che utilizzano biomassa reperibile nelle immediate vicinanze, sono eco-sostenibili perché ne limitano il trasporto.

Numerose aziende agricole hanno realizzato impianti, con potenza installata di 1 MW, e accedono ad un incentivo di circa 280 €/MWh, contro un attuale prezzo in borsa di 60. Bruciano gas ottenuto dalla digestione di rifiuti agricoli.

Totalmente eco-insostenibili impianti di potenza maggiore, ottenuti convertendo a biomasse le vecchie centrali a olio combustibile.

Con una potenza installata di 35 MW, la centrale di Mercure avrebbe teoricamente bisogno di tutta la legna del parco del Pollino, tagliata con criterio svizzero e invece siamo in Basilicata.

Un altro fulgido esempio è la centrale di Crotone, con una potenza installata nientemeno che di 70MW e un consumo annuo teorico di un milione di tonnellate di biomassa, proveniente dalla Sila.

Un traffico di camion per farle funzionare e problemi in vista.

Non è chiaro perché siano state realizzate, e sono ambedue ferme per varie ragioni tra le quali proprio la difficoltà di reperire il combustibile. Un’opzione potrebbe essere il cippato canadese, composto per metà da acqua, con il risultato che le navi solcheranno l’oceano per trasportare proprio acqua.

2) Biomasse per riscaldamento 

Stanno diventando di moda, con ricadute sulla filiera di produzione delle caldaie. Il Gpl costa 255 €/MWh contro 145 del gasolio, 108 del gasolio serre, oltre 100 del metano, 62 del pellet, 45 della legna e 32 del cippato di legno.

La convenienza nel sostituire un impianto che va a GPL con uno a pellet, che non paga accisa e gode di IVA agevolata, è evidente. Ma se tutti fanno lo Stato perde il gettito derivante dalle mancate imposizioni fiscali sui combustibili fossili.

Quindi, o ci si scalda con la legna e si riduce la bolletta energetica nazionale, oppure si tappano i buchi del bilancio dello Stato, con le tasse sul gasolio e sul GPL.

Inoltre la conversione termica delle bioenergie sta sottraendo spazio anche alle tecnologie di riscaldamento più efficienti, come pompe di calore e solare termico.