Razionare si deve!

Dovremmo consumare di meno perché, come diceva Scaroni, la nostra unica risorsa energetica è il risparmio.

Siamo stati costretti a farlo dopo la guerra in Ucraina perché il prezzo del gas era esploso.

Ma non c’è stata alcuna campagna di sensibilizzazione.

Sono proseguite invece le martellanti e torbide proposte commerciali.

Eppure dovremmo “darci una regolata” memori di quanto avvenne, per ben due volte, negli anni ‘70, lasciandoci con il culo per terra.

Non so quali piani di emergenza siano stati nel frattempo predisposti. Ma l’unica cosa che ricordo è che nel 2012, quando c’è stato veramente bisogno di gas, gli stoccaggi erano vuoti. Con Mario Monti al governo fu una catastrofe.

In Germania, per risparmiare, spengono le luci dei negozi nelle notte invernali, razionano il gas e premiano il minor consumo di energia elettrica.

A Milano, invece, i negozi tengono sempre le porte aperte, raffreddando e riscaldando le strade a seconda della stagione. E questo in barba a un preciso divieto dell’ineffabile sindaco.

In Francia ha sempre funzionato il criterio del “non consumare in quei giorni”. Sono gli stessi francesi, che ci permettiamo di criticare nonostante ci forniscano il 15% dell’energia elettrica che produciamo.

Metodo semplice ed efficace: sono previsti 22 giorni di picco in un anno, durante i quali l’energia costa un patrimonio.

Gli utenti, preventivamente informati, diminuiranno volontariamente il consumo, risparmiando e aiutando il sistema.

Non posso credere che quei capolavori di tecnologia, come i nuovi contatori dell’Enel, non permettano una simile operazione.

Ma forse non occorre perché da noi l’energia elettrica costa sempre un patrimonio, h24/365.

Comprare gas con il TTF

Gennaio 2021: al TTF di Amsterdam, il gas quota 17 €/MWh.

Il 22 dicembre dello stesso anno aveva superato i 130 su pressioni dell’estremo oriente.

Una settimana prima dell’invasione dell’Ucraina (17 febbraio 2022) era tornato poco sopra i 64€.

L’invasione dell’Ucraina lo fa salire ma non troppo per poi, a marzo, farlo schizzare a 133.

Dopo un breve periodo riposo il 7 luglio supera i 180.

Ad agosto esplode: 342.

Poi comincia a scendere, con un leggero rimbalzo quando esplodono i gasdotti NS del Baltico.

Oggi siamo a 54.

Autovelox

Commento alla Disposizione del Ministero dell’Interno Prot. 0000995 del 23.01.2025

avente ad Oggetto: Ordinanza n. 10505/2024 della Corte di Cassazione, Sez. II – Violazione dell’art.142 del Codice della Strada e preventiva omologazione delle apparecchiature di rilevamento della velocità.

 L’atto che mi accingo a commentare, diretto alle: Prefetture – UTG, Commissariati di Governo per le Province Trento – Bolzano, alla Presidenza della Regione Autonoma Valle d’Aosta e per conoscenza al: Gabinetto del Ministro, al Dipartimento della Pubblica Sicurezza Direzione Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato e Servizio Polizia Stradale, costituisce un vero e proprio Atto di disposizione che il Dicastero emanante trasmette agli Uffici destinatari al fine di “… volersi attenere alle indicazioni fornite dall’Avvocatura Generale in merito ad eventuali gravami, in modo da rappresentare uniformemente le ragioni questo Dicastero”.

Nella disposizione succitata, il Min. dell’Interno, in premessa afferma: “Con le recenti pronunce, la n. 10505 del maggio 2024 e le nn. 20492 e 20913 del luglio 2024 la Corte di Cassazione si è espressa al riguardo e ha ritenuto che i termini “approvazione” ed “omologazione” non siano equiparabili, sottolineando come solo l’omologazione renda legittimi gli accertamenti effettuati tramite autovelox e richiamando, a tal proposito, proprio il disposto dell’art. 142, comma 6, del D.lgs. 285/1992 (Nuovo Codice della Strada n.d.r.).

Giova rammentare il contenuto dell’art. 142, comma 6 del C.d.S., il quale recita: “Per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate, anche per il calcolo della velocità media di percorrenza su tratti determinati, nonché le registrazioni del cronotachigrafo e i documenti relativi ai percorsi autostradali, come precisato dal regolamento”.

A pag. 6/8 dell’Ordinanza 10505 del 18.04.2024 della Corte di Cassazione, si legge: “L’omologazione, quindi, consiste in una procedura che – pur essendo amministrativa (come l’approvazione) – ha anche natura necessariamente tecnica e tale specifica connotazione risulta finalizzata a garantire la perfetta funzionalità e la precisione dello strumento elettronico da utilizzare per l’attività di accertamento da parte del pubblico ufficiale legittimato, requisito, questo, che costituisce l’indispensabile condizione per la legittimità dell’accertamento stesso, a cui pone riguardo la norma generale di cui al comma 6 dell’art. 142 c.d.s. (funzionalità che, peraltro, a fronte di contestazioni del contravventore, deve essere comprovata dalla P.A. dalla quale dipende l’organo accertatore, secondo l’ormai univoca giurisprudenza di questa Corte: cfr, da ultimo, Cass. N. 14597/2021).

La suddetta statuizione rientra sia nell’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, e che nel vigente ordinamento, vale la regola secondo cui chi esercita un’azione – qual’ è ad esempio la contestazione di un illecito amministrativo – ha l’obbligo di dimostrane le ragioni che ne sono a fondamento. Nel caso di violazione ai limiti di velocità su quel determinato tratto di strada,la prova si concretizza nelle “risultanze di apparecchiature debitamente omologate”. Ragion per cui, se l’autovelox dovesse risultare sprovvisto di “debita omologazione” ciò finisce per rendere nullo il verbale d’accertamento e di contestazione. In via incidentale è appena il caso di affermare che, allo stato, tutti gli autovelox sono privi della “debita omologazione”.

Sempre in relazione all’Ordinanza in questione, la stessa afferma che : “Oltretutto, anche recentemente, e stato precisato che in caso di contestazioni circa l’affidabilità dell’apparecchio di misurazione della velocità, il giudice e tenuto ad accertare se tali verifiche siano state o meno effettuate, puntualizzandosi – si badi – che detta prova non può essere fornita con mezzi diversi dalle certificazioni di omologazione e conformità né la prova dell’esecuzione delle verifiche sulla funzionalità e sulla stessa affidabilità dello strumento di rilevazione elettronica è ricavabile dal verbale di accertamento (cfr. Cass. n. 3335/2024)”.

Per altro, lo stesso MIT con nota n.U.008176 dell’11.11.2020 ha affermato “L’equivalenza sostanziale tra le procedure di omologazione e quelle di approvazione dei dispositivi e sistemi di regolazione e controllo della circolazione stradale e conseguente validità dei sistemi approvati e omologati per il loro utilizzo ai fini sanzionatori”. 

La Corte di Cassazione, cui il suddetto atto era stato esibito, sempre con riferimento all’ordinanza in parola, ribatte che: “Naturalmente non possono a vere un’influenza sui piano interpretativo – a fronte di una chiara ermeneusi basata sulle fonti normative primarie – le circolari ministerlall evocate dal ricorrente, le quail sembrerebbero avallare una possibile equipollenza tra omologazione ed approvazione, basata, però, su un approccio che, per l’appunto, non trova supporto nelle suddette fontl primarie e che, in quanto tali, non possono derogare da fonti secondarie o da circolari di carattere amministrativo”.

Tornando all’atto del Ministero dell’Interno, quest’ultimo riferisce di avere chiesto un parere all’Avvocatura Generale dello Stato, in ordine alla sostanziale identità” tra l’approvazione e omologazione delle citate apparecchiature. Quest’ultima, “dopo attenta lettura della documentazione, ha prospettato, con parere espresso in data 18 dicembre 2024, la sostanziale piena omogeneità ed identità tra le procedure tecnico – amministrative che sono alla base alla base dell’omologazione che dell’approvazione, divergendo queste esclusivamente ai sensi dell’art. 192, commi 2 e 1, del regolamento di esecuzione e attuazione del Codice della Strada per un dato meramente formale”.

La suddetta nota termina con la seguente formulazione: “Nel trasmettere, al riguardo, al fine di assicurare l’omogenea difesa dell’Amministrazione in giudizio, un modello di “memoria” condiviso con il cennato Organo di difesa erariale, con allegato prototipo di decreto di omologazione, si confida nella consueta e fattiva collaborazione di codesti Uffici nella delicata materia”.

E’ appena il caso di osservare come il testo del parere 18.12.2024 dell’Avvocatura Generale dello Stato, in forza del quale il Min. dell’Interno ha diramato agli Enti destinatari l’atto di disposizione all’oggetto generalizzato, non è stato reso pubblico. Per altro ilsuddetto pare sembra rientrare nella categoria dei pareri “facoltativi”: quindi privi del carattere “obbligatorio” e/o “vincolante”.

La questione così posta, pone delicati problemi giuridici anche di carattere costituzionale. E’ da premettere che, seppur perfettamente plausibile la richiesta di parere ad un Organo Consultivo dello Stato qual è quello dell’Avvocatura Generale dello Stato, pur sempre di parere si tratta: rimanendo intatta la responsabilità degli Organi destinatari del prefato atto di disposizione in ordine alla sua concreta esecuzione.

Tale responsabilità è rafforzata da costante orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione, la quale con plurime Ordinanze ha chiaramente declinato la sostanziale differenza tra il provvedimento amministrativo dell’“approvazione” e quello dell’ ”omologazione” siccome richiesto dalla Legge che, per il principio enunciato nel rango delle fonti del Diritto, non può certo caducare dinnanzi ad una Circolare e men che meno ad un parere, seppur promanante dall’Avvocatura Generale dello Stato, non può incidere sul carattere imperativo di una Legge o altro atto avente forza.

La vigente Costituzione, tra i vari princìpi è ordinata sulla base della separazione dei Poteri: in virtù della quale ogni funzione dello Stato (legislativa, amministrativa e giudiziaria) deve essere esercitata da Organi diversi (Parlamento, Governo, Magistratura), ciascuno dotato di proprio potere di decisione ed esercitato senza interferenze e, comunque, nel pieno rispetto delle relative attribuzioni conferite dall’ordinamento. 

La Corte di Cassazione è Organo di giurisdizione di ultima istanza e pertanto decisioni di un Organo del potere esecutivo adottate in contrasto con Ordinanze plurime della Cassazione, conosciute pure come giurisprudenza costante dell’Organo da cui promanano, integrano una vera e propria responsabilità che è fonte di danno risarcibile a carico dell’Amministrazione procedente che, pur a conoscenza dei pronunciamenti costanti, ha comunque agito in difformità al comando di Legge: sul quale il massimo Organo di giurisdizione si è già costantemente espresso in modo motivato e secundunm legem.

Rimane, da ultimo, inquietante il fatto che sia pur se a distanza di 32 anni dall’entrata in vigore del C.d.S., ancora il MIT indugi dall’emanare il provvedimento dal quale verrebbero ad originarsi le “omologazioni” previste per Legge: di questo, dall’interlocuzione con l’Avvocatura Generale dello Stato, non vi è menzione.

 

Cesate, 3 febbraio 2025                                                                               

                                                                                                     Referente Nazionale Metrologia legale del

Comitato Tecnico Scientifico del Centro Tutela Legale e di Migliore Tutela

Cav. Claudio Capozza

Di chi è il gas?

Di chi é il gas dei gasdotti?

TAP, come tutti gli altri gasdotti, é un tubo che trasporta gas di proprietà di terzi.

Tutti i gasdotti trasportano gas per conto di terzi e le clausole delle transazioni sono note solo a quelli che li sottoscrivono.

Sono segrete!

Inoltre, nessuno può dire quanto gas, di quello che arriva, si ferma in Italia anche perché, con la legge n. 96 del 20.11.2009, l’Italia ha sottratto alla metrologia legale i sistemi di misura del gas installati all’ingresso e all’uscita del paese.

È ciò“al fine di semplificare gli scambi del gas”.

La legge é pacificamente lesiva della Direttiva 2004/22/CE del 31 marzo 2004.

Infrazione comunitaria a parte, il risultato é che l’Italia non possiede il dato legale della movimentazione del gas naturale, in entrata e uscita.

Quanto é valido, quindi, il dato trasmesso dagli importatori all’Agenzia delle dogane?

I soci di TAP sono: BP (20%), SOCAR (20%), SNAM (20%), Fluxys (19%), ENAGAS (16%), AXPO (5%) e la portata teorica totale annua del tubo é di 11 miliardi di m3.

La quota di Snam, ammesso che Snam riservi il gas all’Italia, sarebbe di un paio di miliardi di m3.

Quindi non conosciamo il volume del gas che entra ma, in compenso, il prezzo sembrerebbe molto elevato, come pubblica il sole24ore di oggi.

Un prezzo talmente alto che sembra ampiamente giustificare i viaggi della speranza del “governo dei migliori” in Azerbaijan.

Basta fare una divisione per capire che qualcuno ci marcia,e parecchio!

Altro problema: perché in Europa il gas si negozia e si misura in €/MWh, un’unità di misura legale e, quando viene venduto in Italia, si misura in standard metri cubi (smc), un unità di misura che legale non é? In base a quale legge?

In base all’allegato A della Delibera ARG/gas 155/08 di ARERA, il gas non viene misurato in metri cubi, come previsto dalla Direttiva comunitaria in materia di unitá di misura, ma in Smc (Standard metri cubi).

Sulle bollette lo Smc è definito come “unità di fatturazione” ma l’unità di fatturazione non é l’euro?

Comunque, siccome la Direttiva sulle unità di misura legali non prevede lo Standard metro cubo, il suo uso è illegale e titolo per l’applicazione di una sanzione.

In un settore strategico, come quello dell’energia prodotta essenzialmente con il gas, il dato delle quantità movimentate non é legale e invece di mettere a posto la faccenda, che potrebbe nascondere volumi di gas non indifferenti, andiamo ad elemosinare gas all’estero?

Claudio Capozza – Edoardo Beltrame

Oneri di sistema – l’emergenza

L’aumento previsto del costo delle bollette dovrebbe far riflettere il governo sull’opportunità di eliminare definitivamente gli oneri di sistema, messi a carico dei soli consumatori invece che della fiscalità generale.

Durante la crisi ucraina Draghi ci mise una pezza temporanea, da 8 miliardi, peraltro insufficiente perché gli oneri valevano molto di più.

Degli oneri di sistema si sa poco: non ci sono consuntivi, né preventivi; impossibile sapere di quanti soldi si tratta, come vengano realmente utilizzati e quali siano poi i reali vantaggi per i consumatori.

Un buco nero, un bancomat con il quale si servono tutti gli addetti del sistema.

Eppure il consumatore, o l’impresa che li pagano hanno diritto di sapere come vengono utilizzati, fino all’ultimo centesimo.

Gli oneri di sistema vengono raccolti dai distributori di energia elettrica ( vedi la voce in bolletta ) e poi se ne perdono le tracce.

Se, per anni, gli oneri di sistema sono sempre aumentati, e il costo della materia prima è rimasto pressoché costante, è facilmente prevedibile che, al primo serio rialzo della materia prima, la bolletta prenderà il volo, costringendo il governo a cercare di salvaguardare i consumatori più deboli.

D’altro canto la situazione era già esplosiva nell’ottobre del 2021 quando il GSE dichiarava di poter pagare i beneficiari, solo per i primi sei mesi del 2022; ciò significa, per esempio, che, senza intervenire, i produttori di energia rinnovabile il prossimo anno verranno pagati a singhiozzo.

La modifica “strutturale” promessa dal governo non si è vista e quindi, tra tre mesi quando, secondo il governo, il costo della materia prima scenderà, gli oneri di sistema non potranno che essere reintegrati e, alla fine, non ci sarà alcuna calo delle bollette, con buona pace di politici, ministri e funamboli della transizione energetica.

Ma Arera è legittimata ad imporre gli oneri di sistema nei contratti di vendita dell’energia elettrica e, quindi, farli pagare ai consumatori?

La Suprema Corte di Cassazione – R.G.N. 5917/2018 e 30804/2019 – conferma “l’inesistenza di una norma che attribuisce all’Autorità il potere di imporre tali oneri”

Se quindi è vero che Arera non può imporli, perché chi vende energia continua a esporli in bolletta? E cosa succede se poi il consumatore non li paga?

E’ auspicabile che la recente istituzione della Commissione Parlamentare d’inchiesta per la tutela dei consumatori, possa chiarire queste criticità chiedendo anche perché, dopo anni, gli oneri siano ancora destinati a floridi enti governativi e a imprese private .

Gennaio 2022

Il canone RAI

Il canone in bolletta

Da dieci anni le bollette dell’energia elettrica ci addebitano il canone della RAI.

Nel 2024 fanno 7 euro al mese, per dieci mesi, da gennaio a ottobre; ora il governo sta pensando di ri-aumentarlo

Il canone è dovuto solamente per l’abitazione di residenza; i non residenti non lo devono pagare, dichiarandolo al proprio fornitore, quando firmano il contratto.

Va verificato che, ad ogni bolletta, il canone venga addebitato e le bollette devono essere conservate per dieci anni, prova che lo avete pagato.

Ma se il fornitore li riceve e non li paga cosa succede?

Una volta incassato, il vostro fornitore deve versarli, per vostro conto, all’Agenzia delle Entrate, segnalando sia il numero di POD della vostra utenza, presso la vostra residenza, che il codice fiscale.

Numerosi lettori segnalano di aver ricevuto una comunicazione dell’Agenzia con la richiesta di pagamento, a distanza di anni.

Per evitare simili sorprese, dovreste verificare prima di tutto che il canone vi sia stato correttamente addebitato.

La confusione é tale che qualche fornitore se lo dimentica, per far diventare la sua offerta più “competitiva”.

La brillante idea di scaricare il canone RAI in bolletta venne al governo Renzi  nel dicembre del 2015 e l’Autorità dell’Energia si limitò a disquisizioni teoriche.

Da tempo cercavano gli “abusivi” ma il risultato, al di là dell’impatto mediatico, fu scadente con notevoli problemi nella messa a punto della procedura.

Dopo il ricevimento, da parte dei consumatori, delle comunicazioni dell’Agenzia, seguiranno le cartelle esattoriali con la richiesta di pagamento per ogni anno.

Il consumatore dovrà quindi dimostrare di aver pagato il canone ammesso, ovviamente, che il suo fornitore glielo abbia addebitato con la bolletta e poi lo abbia regolarmente “girato” all’Agenzia delle Entrate

Siccome sono pochi quelli che verificano le bollette, se non c’è stato addebito, la richiesta dell’Agenzia é quindi corretta.

Ma anche se l’utente ha pagato, il consumatore deve sperare che il fornitore abbia fatto il suo dovere e tra le centinaia di sconosciuti fornitori che operano nel mercato, ci saranno sicuramente quelli che non l’hanno fatto.

Se poi il consumatore ha cambiato fornitore o magari, nel tempo, più fornitori, il controllo sarà ancora più complicato. 

Stesso problema se su quel POD è subentrato un altro utente.

Le ultime proposte di subentro pubblicizzano “il canone RAI ve lo paghiamo noi “,e magari, dopo tre anni, scoprirete che non era vero.

#canonerai

 

 

 

Sono contatori o sono radio?

Per sostituire il contatore di energia elettrica, il distributore locale minaccia un avvocato di Catania di far intervenire i Carabinieri.

Si ripete così quanto già accaduto in Liguria e in Irpinia tanto da chiedersi se i Carabinieri sono a servizio di Enel.

A Catania l’utente diffida l’addetto dall’effettuare qualsiasi operazione presso un domicilio privato mentre edistribuzione (il distributore locale) trasmette, su richiesta,una dichiarazione di conformità.

Il documento però si riferisce a generiche apparecchiature di telecomunicazione e non ai contatori di energia elettrica.

La conformità metrologica deve necessariamente e unicamente riferirsi al decreto legislativo n° 22/2007, che recepisce la direttiva europea MID sugli strumenti di misura.

La marcatura CE, seguita dalla M e dall’anno di verifica, sono le uniche prove che si tratta di uno strumento di misura omologato.

La conformità alla normativa europea CE 0051 è inutile e fuorviante!

Il MISE, cui compete la metrologia legale, non ha mai confermato la legalità dei sistemi di misurazione di energia elettrica e, in particolare, se il contatore possa essere gestito o modificato da sistemi di controllo remoti.

Numerose interrogazioni e audizioni parlamentari non hanno portato a nulla.

Per Arera, alla quale non compete la metrologia legale, ma è stata coinvolta in questa commedia, il contatore è una radio!

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Controllo consumo gas (utenze industriali)

Come tenere sotto controllo il consumo di gas PMI

PDR – misuratori con calibro G >100 (160 m3/h)

Numero del PDR: intestazione del contratto,fornitore e distributore

Condizioni contrattuali: tariffe, scadenze e rinnovi

Controllo legale di ogni gruppo di misura:

  1. Dati di targa del misuratore > foto
  2. Dati di targa del convertitore associato al misuratore > foto
  3. Validità metrologica del misuratore
  4. Validità metrologica del convertitore > bollo verde di verifica
  5. Libretto d’impianto (https://www.arera.it/allegati/operatori/gas/istruzioni_atdg.pdf)
  6. Verbali d’installazione di tutti gli strumenti e successivi interventi
  7. Verbali di verificazione biennale del convertitore
  8. Comunicazioni con fornitore e/o distributore

Controlli tecnici:

  • Congruità del misuratore con utilizzo del gas a valle
  • Congruità impiantistica del gruppo di misura (foto)
  • Pressione di alimentazione (contrattuale ed effettiva) > manometro
  • Controllo verso del flusso in alimentazione
  • Lettura dato del volume sul misuratore
  • Lettura dati del convertitore
  • Allineamento misuratore/convertitore
  • Coerenza con i volumi addebitati con le bollette
  • Controllo consumo specifico e consumo storico

Registrazione settimanale delle seguenti letture:

  1. volume indicato dal contatore (m3);
  2. volume base – Vb – indicato dal display del convertitore (sm3);
  3. volume misurato – Vm – indicato dal convertitore (m3);
  4. pressione indicata dal convertitore (mbar).
  5. Pressione alimentazione su manometro addizionale

Anomalie tecniche ricorrenti, cause di errate misurazioni:

  • Macroscopici difetti impiantistici (foto)
  • Misuratori che sovramisurano perché non adatti
  • Misuratori obsoleti o difettosi non controllati
  • Mancata trasmissione dei dati di consumo > consumi stimati
  • Disallineamento contatore/convertitore
  • Macroscopici errori di lettura in fase di sostituzione
  • Vigilanza zero se non su segnalazione e manco quella
  • Responsabilità errate tra MISE e ARERA
  • Passaggi di proprietà impianti senza verifiche tecniche

 

 

 

 

Contatore guasto

A chi compete il controllo dei contatori? A chi mi devo rivolgere se il contatore non funziona, o funziona male?

Il fornitore, quello che mi manda la bolletta, mi dice che non sono problemi suoi, ma del distributore ma mi dice anche che, se per il distributore è tutto ok, dovrò pagare la prova. Il che scoraggia l’utente.

Una volta c’erano gli uffici metrici che dipendevano dal Ministero dello Sviluppo Economico e adesso dipendono dalle Camere di Commercio in palese conflitto d’interessi.

Gli ispettori metrici erano funzionari di polizia giudiziaria e nei controlli applicavano la legge. Ora hanno solo attività di vigilanza del mercato e una segnalazione da parte di un cittadino ha poche possibilità di essere presa in considerazione.

Con queste risposte “questa Camera non può intervenire per constatare il mal funzionamento del misuratore di cui è titolare il succitato Sig. Xxxx in quanto tale adempimento, strettamente tecnico, è di competenza dell’azienda che ha installato il misuratore in questione”.

Lo strettamente legale è diventato tecnico!

Ai sensi invece dell’art. 3, comma 1, sub b) del vigente Decreto 21 aprile 2017, n. 93 e s.m.i. del M.I.S.E., il XXX – è provvisto della necessaria legittimazione a richiedere l’esecuzione del controllo in parola, c.d. “controllo a richiesta” -, non già nella veste di “titolare” dello strumento come erroneamente indicato da codesta CCIAA con la succitata nota, ma in quanto “… altra parte interessata nella misurazione”: così come previsto all’art. 5, comma 1, sub 2 del citato D.M. 93/2017;

Nota: Il titolare dello strumento di misura è la persona fisica o giuridica titolare della proprietà dello strumento di misura o che, ad altro titolo, ha la responsabilità dell’attività di misura

Per quanto appena ribadito rimane difficile attribuire l’adempimento in parola “all’azienda che ha installato il misuratore in questione” come invece sostenuto da codesta CCIAA, rimanendo invece in capo a quest’ultima la titolarità esclusiva sia in qualità di destinataria dell’istanza che per la sua esecuzione: stante la formulazione della disposizione del già citato art. 5 del D.M. 93/2017;

Codesta CCIAA è titolare dell’attività di Vigilanza sul regolare funzionamento degli strumenti di misura: in via esclusiva se trattasi di strumenti di tipo “nazionale” o per specifica Delega del M.I.S.E. se trattasi di strumenti CE/UE.
Si reitera l’istanza già presentata e si rimane in attesa delle determinazioni di codesta CCIAA, specificando che con il 16 luglio 2021 è entrato in vigore il regolamento (UE) n. 2019/1020 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, sulla vigilanza del mercato e sulla conformità dei prodotti, che ha modificato il Regolamento (CE) n. 765/2008 assegnando agli Organismi di vigilanza più efficaci livelli di tutela mediante rinnovate norme in materia di vigilanza del mercato allo scopo di garantire la sicurezza dei prodotti e la protezione dei consumatori.
Si informa la S.V. che la CamCom di Salermo, ad esempio, adempie a quanto richiesto dal cittadino in quanto, testualmente: (https://www.sa.camcom.it/notizie/strumenti-misura-camera-commercio-svolge-solo- attivita-vigilanza)
“L’attività di vigilanza svolta dagli uffici Metrici delle Camere di Commercio avviene, tra l’altro, attraverso le seguenti misure:

  1. controlli a campione senza preavviso presso i titolari degli strumenti;
  2. ispezione degli strumenti di misura in caso di controversie su richiesta di terzi;
  3. monitoraggio e controllo delle attività degli Organismi di verifica;
  4. sorveglianza generale del mercato per quanto riguarda gli strumenti di misura utilizzati”
    La CamCom, nelle attività di vigilanza e controllo della regolarità metrologica, è titolata anche ad accertare il corretto funzionamento degli strumenti di misura non correttamente funzionanti che saranno oggetto di ordine di aggiustamento tramite l’attività ispettiva

Riassumendo: resta solo l’esposto denuncia alla GdF

La sbornia dei soldi delle bollette

Dove finiscono i soldi della bolletta? Chi controlla?

Materia (prima) energia:
PE Costo dell’energia
PD (Dispacciamento): per mantenere in equilibrio la rete in alta tensione
PPE : perequazione
PCV (Commercializzazione Vendita): spese di gestione dei contratti di vendita.
DispBT : Componente Dispacciamento Bassa Tensione.

Spesa per il trasporto e la gestione del contatore:
trasporto, distribuzione e misurazione
Componenti tariffarie UC3 e UC6: Costi per il miglioramento della qualità dei servizi.

Spesa per oneri di sistema:
ASOS : Oneri generali relativi al sostegno delle energie rinnovabili e alla cogenerazione.
ARIM (Rimanenti oneri generali): sicurezza nucleare, agevolazioni tariffarie, compensazioni territoriali, e altre attività di interesse generale.

Imposte:
IVA (Imposta sul Valore Aggiunto): Applicata su tutte le voci di spesa.
Accise: Imposte specifiche sull’energia.
Queste componenti sono stabilite e aggiornate periodicamente dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA).

Ovviamente ci sono esenzioni e agevolazioni.


La componente ASOS è suddivisa in diverse sottocomponenti che coprono i costi associati al sostegno delle energie rinnovabili e della cogenerazione.

Le principali sottocomponenti includono:

A3: Incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili e assimilate.
A4: Agevolazioni tariffarie per il settore ferroviario.
A5: Sostegno alla ricerca di sistema.
A6: Compensazioni per le imprese elettriche minori.
A7: Promozione dell’efficienza energetica.


La componente ARIM copre una serie di costi associati a varie attività di interesse generale per il sistema elettrico nazionale.

Le principali sottocomponenti includono:

Incentivazioni alla produzione di energia tramite rifiuti non biodegradabili.
Messa in sicurezza del nucleare.
Misure di compensazione territoriale.
Agevolazioni tariffarie per il settore ferroviario.
Sostegno alla ricerca di sistema.
Integrazioni per le imprese elettriche minori.
Attività di promozione dell’efficienza energetica.
Bonus elettrico: Agevolazioni per le famiglie in condizioni di disagio economico.

Misurare meglio il gas

Alla canna del gas

Ci voleva la guerra per ricordarci quanto dipendevamo dal gas russo.

Siccome era sempre disponibile, ci arrivava con i tubi dalla Russia, era anche a buon mercato, abbiamo lasciato il nostro gas sotto terra. E le piattaforme abbandonate in Adriatico lo provano.

Il governo ( dei migliori e della crisi ) è andato a cercarlo in giro per il mondo, convinto di trovarne nel giro di pochi mesi.

Per fortuna non ha fatto freddo e il gas russo è stato sostituito da quello (dicono) proveniente da altri paesi; abbiamo pagato qualche bolletta “da infarto” e adesso aspettiamo gli eventi.

Ma proprio perché c’è meno gas sarebbe opportuno mettere un po’ d’ordine nella filiera della sua misurazione.

Le anomalie nella filiera della misurazione del gas in Italia sono tre: unità di misura,potere calorifico e sistemi di misurazione.

1) Le bollette fatturano Sm3 – standard metri cubi. Lo Sm3 non è un’unità di misura legale. L’unità di misura legale è il m3. Il gas all’ingrosso si paga in MWh. In tutta Europa le bollette addebitano kWh. In Italia lo Sm3 viene definito sulle bollette “unità di fatturazione”.

L’unitá di fatturazione é l’euro, e la bolletta non é regolare.

2) Il PCS – potere calorifico superiore – del gas viene stabilito da Snam Rete Gas che lo trasporta in monopolio. SNAM è controllata da CDP della quale lo Stato è azionista di riferimento

3) I sistemi di misurazione del gas, installati all’arrivo dei gasdotti in Italia, sono stati sottratti ai controlli della Metrologa Legale. L’inchiesta della Procura di Milano del 2008 é stata bloccata da un decreto, poi convertito in legge, che non ha risolto il problema. La legge risulta palesemente in contrasto con la Direttiva 2004/22/CE, recepita in Italia nel 2007.

Le anomalie risalgono al 1997 e la responsabilità é sempre stata del ministero, che ora si chiama MASE.

Quanto gas non misurato, e quindi non contabilizzato, circola in Italia?

Claudio Capozza – Edoardo Beltrame

Agosto 2022

Unità di misura all’italiana

A chi fa comodo la doppia misurazione?

Poco meno quanto?

La crisi energetica ci ha insegnato che il gas viene negoziato in MWh (megawattora) in base al TTF , un indice della borsa di Amsterdam, predisposto dagli speculatori su una quota di mercato minima.

E questo rappresenta la prima anomalia: non c’ènulla di fisico, come l’indice Brent per il petrolio, ma è tutto virtuale!

Quando il gas si mette a girare in Italia, l’unità di misura cambia: con la bolletta ci addebitano smc (standard metri cubi).

Lo standard metro cubo é un’unità di misura scientifica che, essendo mai stata legalizzata, non potrebbe essere utilizzata nelle transazioni commerciali che, per legge, esigono strumenti legali e unità di misura legali.

In tutta Europa il gas si paga in kWh, in Italia no.

Le unità di misura legali sono il kWh e il metro cubo.

In Italia il consumatore viene preso in giro con sei decimali dopo la virgola, possibili solo in un laboratorio.

Ma le anomalie non finiscono qui: anche i sistemi di misura che rilevano il consumo di gas non sono mai stati omologati. Sono omologati solamente alcuni componenti dei sistemi di misura ma non il sistema completo,quello che garantisce la misurazione.

Di solito siamo attenti alla pompa di benzina, al contatore in casa, alla bilancia del salumiere ma per la misurazione del gas accettiamo una farsa che dura da decenni.

Quante centinaia di milioni di metri cubi ballano con questo torbido sistema di misura? E a vantaggio di chi?

Contatori e calamite

Un  magnete puó influenzare solamente il funzionamento di un contatore elettrodinamico, quello con la rotella che gira da 70 anni.

Ce ne sono ancora tanti e tenetevelo buono se lo avete!

Un magnete posto sul contatore crea un campo magnetico che rallenta la rotazione facendo “segnare” al contatore meno energia di quella effettivamente erogata.

Non fatelo perché é un reato!

Ma un magnete non può influenzare il funzionamento dei nuovi contatori elettronici, i c.d. contatori intelligenti, quelli senza la rotella che sono stati installati dai primi anni 2000.

C’è grande confusione su questo argomento.

Così, quando vicino a un contatore elettronico, il distributore rinviene un magnete lo rimuove e, senza alcun titolo, decide che è un “corpo di reato”; denuncia il consumatore per truffa, e procede ad un approssimativo e unilaterale ricalcolo del consumo.

Due casi, passati in giudicato, stabiliscono che un magnete non influenza il funzionamento del contatore elettronico.

Il primo procedimento penale si conclude a favore del consumatore ma il giudice soprassiede sul fatto che un laboratorio scelto dal distributore, non è stato in grado di provare il contatore.

Infatti, tolto dalla rete elettrica il contatore si spegne.

Il contatore può funzionare solamente se resta collegato alla rete che lo gestisce da remoto, cosa che invece la legge espressamente vieta.

In sostanza, il distributore, che è proprietario del contatore, non permette di verificarlo in contradditorio, ledendo i diritti del consumatore.

Il procedimento penale si estingue perché “il fatto non sussiste” ma l’utente dovrà recuperare, in sede civile, 17.000 €, che ha già pagato.

Un secondo caso, che ha richiesto quattro anni per giungere a sentenza, conclude che non c’è stata alcuna truffa.

In questo caso il distributore si rifiuta di mettere a disposizione del giudice il contatore e il magnete per ulteriori prove meteorologiche.

Le sentenze confermano che:

  • un contatore, se omologato “stand alone”– cioè senza alcun sistema che lo gestisce da remoto – deve poter essere provato in contradditorio “stand alone”;
  • se il contatore è stato progettato, e omologato per essere immune a campi magnetici, un magnete non può modificarne le caratteristiche metrologiche.

Il video del prof. Ferrero del Politecnico di Milano chiarisce ulteriormente la faccenda.

L’omologazione degli strumenti

Autovelox ed etilometri sono strumenti di misura? 

Gli Autovelox sono finalizzati all’accertamento della velocità di un’autovettura; gli etilometri quello del tasso alcolemico del sangue di chi la guida.

La Velocità (V) è il rapporto tra lo spazio (S), misurato in metri (m), ed il tempo (T), misurato in secondi (s), impiegato a coprire quello spazio. 

Il tasso alcolemico è il rapporto percentuale tra il peso dell’alcool presente nel campione di sangue del soggetto in esame e il volume, espresso in litri dello stesso.

Un trattato, sottoscritto da diciassette stati, il 20 maggio 1875, ha stabilito le linee guida da seguire per determinare le unità di misura e l’Italia è uno dei sottoscrittori.

L’Unione Europea, con la direttiva 80/181/CEE “Per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle unità di misura”, stabiliva le unità di misura,obbligatorie nel circuito economico come nei settori della sanità e della sicurezza pubblica.

La direttiva viene recepita dall’Italia con il D.P.R. 12.08-1982, n. 802 e prevede sette unità di misura, tra le quali il metro (m), e il secondo (s).

Sono anche previste unità di misura derivate, come la velocità V = S/T.

La Metrologia Legale si occupa di tutte quelle attività di misurazione, svolte con strumenti di misura, finalizzate dalle norme vigenti, al conseguimento dei c.d. scopi legali.

In materia di pesi e misure la Metrologia Legale fa riferimento al Testo Unico (TU) delle Leggi Metriche 23.8.1890, n. 7088, all’art.11 che così dispone:

“Ogni convenzione di quantità che non sia di solo denaro, anche per privata scrittura, dovrà farsi in pesi e misure legali”.

Al successivo art.12:

“I pesi e le misure e gli strumenti, usati in commercio per pesare e per misurare, sono sottoposti a due verificazioni, la prima e la periodica; nell’una e nell’altra il verificatore pone un bollo sopra ogni oggetto da lui verificato”.

Pertanto, per gli strumenti di misura impiegati per finalità fissate dalla legge, il carattere di legalità si consegue attraverso l’applicazione della Verificazione Prima e di quella Periodica: superati con buon esito le due verificazioni, l’apposizione dei bolli metrici conferisce il crisma della legalità allo strumento in parola.  

I due articoli del Testo Unico sono tuttora vigenti e radicano, nel nostro ordinamento, il principio di legalità in materia di strumenti di misura.

Con l’art. 11 il legislatore prevede che, quando si conviene tra le parti – che stabiliscono nel negozio giuridico –  una quantità, questa dovrà essere necessariamente determinata con strumenti di misura legali, strumenti cioè che abbiano conseguito lo stato di legalità attraverso modalità stabilite dalla legge.

L’art. 12 del T.U. 7088/1890 fa riferimento a pesi, misure e strumenti usati in commercio – cioè quelli utilizzati nell’ambito di una transazione – allo scopo di determinare la quantità della cosa da scambiarsi contro il prezzo.

L’evoluzione legislativa, comunitaria e non, ha ampliato la fascia dei beni giuridici meritevoli di tutela, oltre a quello dell’ “uso di commercio”.

Sempre con riferimento al T.U. 7088/1890, il legislatore del tempo, previde alla Tabella A, quale “Tabella dei pesi e delle misure metrico-decimali, dei loro multipli e sottomultipli: partendo dal Metro, come unitá delle misure lineari, sino al Grammo per il peso”.

La Tabella B prevede la “Tariffa dei diritti da pagarsi per la verificazione prima dei pesi e delle misure e per ogni verificazione dei misuratori del gas illuminante, e dei manometri campioni”. 

La lungimiranza del legislatore del tempo – eravamo agli albori della società industriale – prevedeva agli artt. 6 e 7 -del Regolamento per la Fabbricazione degli strumenti metrici, approvato con R.D. 12.06.1902, n. 226 – la possibilità di esser ammessi negli usi di commercio, strumenti per pesare o per misurare diversi da quelli contemplati nella Tabella B annessa alla legge.

Anche per gli autovelox sarebbe stato quindi sufficiente presentare apposita domanda al Ministero dell’Industria e Commercio.

Udito il parere dell’allora Commissione Superiore metrica, sarebbe stato rilasciato il Decreto Ministeriale d’Ammissione alla Verificazione metrica ed alla legalizzazione di nuovi strumenti: ottemperando quanto previsto dagli artt. 11 e 12 del T.U. 7088/1890.

Al Ministero dell’Industria e Commercio – instituito con decreto luogotenenziale 23 febbraio 1946, n. 223, e s.m.i. , – Direzione Generale per l’armonizzazione e la tutela del mercato – è stata affidata la competenza in materia di “Metrologia e metalli preziosi”, ovvero: “Definizione  delle  iniziative normative, nonché studi e ricerche, nel  campo  della metrologia legale e della disciplina dei titoli dei marchi di identificazione dei metalli preziosi, nonché Attività  normativa,  interpretativa  e di indirizzo in materia di servizi  metrici  e  del  saggio  dei  metalli  preziosi e relativi rapporti  con  le  Camere  di  Commercio e con ogni altro organismo operante nella materia”.

Con questa procedura, e con appositi Decreti Ministeriali sono stati fabbricati, e posti in commercio, le bilance elettroniche, i distributori elettronici di carburante, i sistemi di misura per il monitoraggio della “catena del freddo” installati su mezzi mobili che trasportano alimenti surgelati ed altri strumenti di tipo elettronico.

L’emanazione dei suddetti DD.MM. competeva al Ministero dell’Industria e Commercio, divenuto poi Ministero dello Sviluppo Economico (Mi.S.E), e successivamente Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT)

I DD.MM. venivano emessi a domanda del fabbricante, e/o dell’ Importatore – erano detti anche Decreti di Ammissione o Decreti di Approvazione – e consentivano agli strumenti o ai sistemi di misura di nuovo tipo, di essere ammessi alla Verificazione prima ed alle successive.

A tale incombenza provvedevano gli Ispettori degli uffici provinciali metrici i quali, svolto l’esame di conformità alla descrizione dello strumento, contenuta nel D.M. pertinente, eseguivano le operazione dirette al riscontro dei requisiti metrologici previsti dalle norme generali per la categoria dello strumento in esame, oltre a eventuali prove specifice previste dal D.M. d’ammissione.

Ad esito positivo, l’Ispettore Metrico imprimeva sulla “targa legale” dello strumento il bollo di Verificazione Prima, determinandone la legalizzazione.

Lo strumento di misura così legalizzato poteva essere posto in commercio – e in uso di commercio – con le modalità di utilizzo e funzionamento previste dal D.M. d’ammissione in forza del quale era stato legalizzato.

Nel 1977, un’impresa italiana, mise in commercio, per la determinazione della velocità media ed istantanea degli autoveicoli, un’apparecchiatura utilizzata dagli Organi di vigilanza e controllo delle disposizioni in materia di rispetto dei limiti di velocità, previsti dal Codice della Strada all’epoca vigente.

Non si sa se sia stato rispettato il precetto normativo di cui all’art. 11 del vigente T.U. 7088/1890, trattandosi di strumento di misura destinato alla determinazione di un’unità di misura.

Ma non vi sono dubbi che si tratti di uno strumento di misura, soggetto alle disposizioni metrologiche legali previste dal più volte citato T.U. 7088/1890.

Lo strumento, denominato Autovelox, non poteva che essere di tipo Legale – ovvero conforme alle disposizioni di legge al tempo vigenti – per poter essere validamente utilizzato per l’applicazione di sanzioni, in caso di accertamenti della violazione dei limiti di velocità previsti, vigendo il principio giuridico generale che, per l’accertamento della commissione di un illecito nel quale sia necessario uno strumento di misura, lo stesso debba necessariamente essere di tipo legale.

Il Codice della strada, approvato con D. Lgs. 30.04.1992, n. 285, all’art. 45, comma 6, disponeva che: “Nel regolamento sono precisati i segnali, i dispositivi, le apparecchiature e gli altri mezzi tecnici di controllo e regolazione del traffico, nonché quelli atti all’accertamento e al rilevamento automatico delle violazioni alle norme di circolazione, ed i materiali che, per la loro fabbricazione e diffusione, sono soggetti all’approvazione ed omologazione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previo accertamento delle caratteristiche geometriche, fotometriche, funzionali, di idoneità e di quanto altro necessario. Nello stesso regolamento sono precisate altresì le modalità di omologazione e di approvazione”.

Il successivo D.Lgs. 10.09.1993, n. 360, all’art.20, disponeva “All’articolo 45, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, è apportata la seguente modificazione:

a) le parole: “ed omologazione” sono sostituite dalle seguenti: “od omologazione”. 

Ciò determina, da subito, una discrasia con la formulazione finale del testo originario precedente dello stesso articolo 45, comma 6, ove la disposizione finale recita: “Nello stesso regolamento sono precisate altresì le modalità di omologazione e di approvazione”.

Quel che lascia fortemente perplessi è il fatto che, per la prima volta, è stata devoluta alla competenza del Ministero delle Infrastrutture e trasporti, l’approvazione “od omologazione” di tali categorie di strumenti di misura che, come detto, competeva al Mi.SE, trattandosi di strumenti di misura.

In concreto, a legislazione vigente, quando alla formulazione di provvedimenti amministrativi quali quelli della omologazione “od approvazione” degli Autovelox e/o etilometri concorre la competenza di più Amministrazioni, sarebbe stato necessario indire la c.d. Conferenza di Servizi, ciò che invece non è avvenuto.

Comunque, proseguendo nella disanima del caso, con il P.P.R. 16.12.1992, n. 495 è stato emanato il Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada.

All’art. 192 del suddetto atto, di notevole importanza sono i primi tre commi che così dispongono:

“1. Ogni volta che nel codice e nel presente regolamento è prevista la omologazione o la approvazione di segnali, di dispositivi, di apparecchiature, di mezzi tecnici per la disciplina di controllo e la regolazione del traffico, di mezzi tecnici per l’accertamento e il rilevamento automatico delle violazioni alle norme di circolazione, di materiali, attrezzi o quant’altro previsto a tale scopo, di competenza del Ministero dei lavori pubblici, l’interessato deve presentare domanda, in carta legale a tale dicastero, indirizzandola all’Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale, corredata da una relazione tecnica sull’oggetto della richiesta, da certificazioni di enti riconosciuti o laboratori autorizzati su prove alle quali l’elemento è stato già sottoposto, nonché da ogni altro elemento di prova idoneo a dimostrare l’utilità e l’efficienza dell’oggetto di cui si chiede l’omologazione o l’approvazione e presentando almeno due prototipi dello stesso. Alla domanda deve essere allegata la ricevuta dell’avvenuto versamento dell’importo dovuto per le operazioni tecnico-amministrative ai sensi dell’articolo 405”.

“2. L’Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale del Ministero dei lavori pubblici accerta, anche mediante prove, e avvalendosi, quando ritenuto necessario, del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, la rispondenza e la efficacia dell’oggetto di cui si richiede l’omologazione alle prescrizioni stabilite dal presente regolamento, e ne omologa il prototipo quando gli accertamenti abbiano dato esito favorevole.L’interessato è tenuto a fornire le ulteriori notizie e certificazioni che possono essere richieste nel corso dell’istruttoria amministrativa di omologazione e acconsente a che uno dei prototipi resti depositato presso l’Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale”.

“3. Quando trattasi di richiesta relativa ad elementi per i quali il presente regolamento non stabilisce le caratteristiche fondamentali o particolari prescrizioni, il Ministero dei lavori pubblici approva il prototipo seguendo, per quanto possibile, la procedura prevista dal comma 2.

Dall’analisi dei suddetti commi è pertanto possibile rilevare, con criterio logico-giuridico, la differenza sostanziale tra Approvazione e Omologazione.

Per Approvazione deve intendersi la procedura prevista che fa riferimento a elementi che non necessitano di specifiche caratteristiche, ovvero per i quali il Regolamento non stabilisce particolari requisiti (art. 192 comma 2^). 

Da un punto di vista formale l’Approvazione è costituita da Determina Dirigenziale.

Per Omologazione deve intendersi la procedura che consente la produzione seriale di uno strumento in base ad un prototipo omologato, rappresentativo della produzione, il quale, a seguito di prove e test condotti in laboratori qualificati, dimostra la conformità alle relative norme tecniche di riferimento, sia nazionali che comunitarie, pertinenti alle specifiche funzioni svolte dallo strumento o dal sistema di cui è parte.

Da un punto di vista formale, l’omologazione si concretizza in un vero e proprio D.M. d’omologazione nel quale è descritta l’apparecchiatura cui si riferisce, unitamente all’indicazione del termine temporale di validità.

Al riguardo è illuminante la sentenza della Corte di Cassazione 10505, pubblicata il 18.04.2024 che, nelle premesse, così recita:

“E’, quindi, condivisibile la motivazione della sentenza impugnata che ha operato la distinzione tra i due procedimenti di approvazione e omologazione del prototipo, siccome aventi caratteristiche, natura e finalità diverse, poiché l’omologazione ministeriale autorizza la riproduzione in serie di un apparecchio testato In laboratorio, con attribuzione della competenza al Ministero per lo sviluppo economico, (e non del M.I.T. n.d.r.) nel mentre l’approvazione consiste in un procedimento che non richiede la comparazione del prototipo con caratteristiche ritenute fondamentali o particolari prescrizioni previste dal regolamento”.

“L’omologazione, quindi, consiste in una procedura che – pur essendo amministrativa (come l’approvazione) – ha anche natura necessariamente tecnica e tale specifica connotazione risulta finalizzata a garantire la perfetta funzionalità e la precisione dello strumento elettronico da utilizzare per l’attività di accertamento da parte del pubblico ufficiale legittimato, requisito, questo, che costituisce l’indispensabile condizione per la legittimità dell’accertamento stesso, a cui pone riguardo la norma generale di cui al comma 6 dell’art. 142 c.d.s. (funzionalità che, peraltro, a fronte di contestazione del contravventore, deve essere comprovata dalla P.A. dalla quale dipende l’organo accertatore, secondo l’ormai univoca giurisprudenza di questa Corte: cfr., da ultimo, Cass. n. 14597/2021)”.

“Oltretutto, anche recentemente, è stato precisato che in caso di contestazioni circa l’affidabilità dell’apparecchio di misurazione della velocità, il giudice è tenuto ad accertare se tali verifiche siano state o meno effettuate, puntualizzandosi – si badi – che detta prova non può essere fornita con mezzi diversi dalle certificazioni di omologazione e conformità né la prova dell’esecuzione delle verifiche sulla funzionalità e sulla stessa affidabilità dello strumento di rilevazione elettronica è ricavabiledal verbale di accertamento (cfr. Cass. n. 3335/2024)”.

Lo sconcertante quadro che si ritrae da tale situazione è che le norme che si sarebbero dovute emanare – ovvero la procedura per conseguire l’omologazione attraverso l’emanazione dei relativi DD.MM. e quelle per l’emanazione dell’Approvazione – non sono state ancora emanate.

Conseguenza diretta ed immediata di tale stato di fatto è che tutti gli Autovelox, gli Etilometri ed altre apparecchiature utilizzate per l’accertamento delle violazioni al Codice della Strada risultano non legali e gravate dal fatto di non essere commercializzabili né impiegabili per gli scopi cui sono destinate.

Con l’emanazione della direttiva comunitaria 2004/22/CE del 31.3.2004 relativa agli Strumenti di Misura – meglio conosciuta come direttiva MID (Measuring Instruments Directive) -, recepita con D.Lgs. 2.2.2007, n. 22, in vigore dal 18.3.2007, poi novellata dalla Direttiva 2014/32/UE del 26.02.2014, attuata a mezzo del D.Lgs. 19.05.201, n. 84, è stato introdotto nel vigente ordinamento, il principio dei “controlli metrologici legali”, i controlli per motivi di interesse pubblico, sanità pubblica, sicurezza pubblica, ordine pubblico, protezione dell’ambiente, imposizione di tasse e diritti, tutela dei consumatori e lealtà delle transazioni commerciali, intesi a verificare che uno strumento di misura sia in grado di svolgere le funzioni cui è destinato (art.4, comma c) della direttiva MID.

La notevole novazione introdotta dalla direttiva MID, non è pertanto incentrata sullo strumento di misura, ex se, quanto alla sua specifica destinazione d’uso; l’Allegato I dispone i Requisiti essenziali degli strumenti di misura e dieci allegati specifici determinano le caratteristiche degli strumenti per categoria.

Sia gli Autovelox, che gli Etilometri, sono strumenti finalizzati agli “scopi legali”previsti dalla direttiva MID, in quanto destinati ai controlli per motivi di interesse pubblico, sicurezza pubblica, ordine pubblico, e sono pertanto soggetti all’osservanza dei vigenti canoni della Metrologia legale applicabili.

Per definizione di ordinamento giuridico, non essendo tali categorie contemplate in alcuno dei dieci allegati specifici della MID, essi dovranno essere approvati e legalizzati secondo i vigenti canoni metrologico-legali nazionali.

Al riguardo, lo stesso MIMIT, all’indirizzo Web: https://www.mimit.gov.it/it/metrologia/sistema-di-garanzia-della-qualita-82896365, fornisce una dettagliata e precisa procedura, ivi compreso il fac-simile di domanda di ammissione alla Verificazione metrica ed alla legalizzazione, da presentarsi ai sensi dei già citati artt. 6 e 7 del R.D. 226/1902.

Verrebbe così risolto tutto il “bailamme” esistente mediante l’applicazione di disposizioni normative e procedure esistenti.

Cav. Claudio Capozza

3 agosto 2024

 

 

                                                         

Breve storia dell’energia (3): liberalizzazione, tangenti e rinnovabili

Dal CIP6 in avanti, l’idea di scaricare tutto in bolletta prende piede. Ci finirà, alla fine, anche il canone RAI che con l’energia elettrica non c’entra per niente.

Dal 1995 AEEG – Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas poi Arera – stabilisce come, quando e in quale misura, gli incentivi saranno spalmati nelle bollette.

É meglio però che il consumatore, utile idiota del sistema, non sappia come gli vengono sfilati i soldi dalle tasche e così le bollette diventano sempre più complicate.

Il 1999 è l’anno del c.d. decreto Bersani “di liberalizzazione”. Favorisce gli ex-monopolisti di allora, stiracchiando i criteri di una delibera europea, e per la prima volta impone il pagamento degli “oneri generali di sistema“, che non solo sono ancora lì, in bolletta, ma ne sono una delle voci più importanti.

Nel 2002 Enel vende il 60% delle sue centrali. Una parte viene rilevata dalla spagnola Endesa, che poi tornerà Enel. La rete di trasmissione passa a Terna, che diventa così il monopolista concessionario dell’alta tensione. Enel mantiene il monopolio della distribuzione, si fa da sé i nuovi contatori intelligenti (per chi?) in odore di illegalità.

Attraverso Enelpower si lancia in ardite e sconclusionate acquisizioni all’estero mentre in Italia tornano le tangenti.

L’energia viene ora venduta alla borsa elettrica.

Berlusconi, grande amico di Putin, cerca di tagliare fuori ENI, impegnandosi direttamente con i Russi per il gas con l’amico Mentasti ma non passa.

In un delirio di onnipotenza, Enel, sotto il comando di kaiser Franz Tató, va a cercare gas liquefatto in Nigeria, s’impegna a comprarlo ma poi non riuscirà a farlo arrivare in Italia direttamente e dovrà passare dalla Francia.

Senza una strategia e con la benedizione delle banche, le centrali elettriche esistenti vengono convertite a gas e ne vengono costruite nuove dovunque.

Le ultime centrali non sono ancora entrate in servizio, pur avendone già pagata una parte, con il buco MPS che ha salvato anche Sorgenia, quando nasce la vera energia rinnovabile, quella da sole e vento.

Verrà trionfalmente incentivata con le bollette e con i cinque conti energia.

Pagheremo tutto noi: oggi 15 miliardi di euro all’anno.

Con la garanzia delle bollette, le banche finanziano qualsiasi progetto: c’è chi mette i terreni e chi addomestica i funzionari comunali; i pannelli sono cinesi progettati in Germania.

I primi ad annusare l’affare sono i fondi verdi stranieri che oggi incassano incentivi multipli del prezzo d’energia in borsa.

Come accaduto per il CIP6, si assegnano anticipatamente i diritti anche a piccole società locali, spesso legate all’illegalità e al malaffare; si specula sulla rivendita dei diritti e gli utili finiscono esentasse in Lussemburgo.

Le rinnovabili, e il crollo della domanda, mettono definitivamente fuori mercato le centrali a gas appena ultimate. E Sorgenia affonderà MPS.

Con il “capacity payment” : pagheremo anche le centrali perché non producano ma siano lì a disposizione per quando non c’è sole o vento.

Adesso tutti vogliono chiuderle, Enel per prima 23, perché non sono remunerative e abbiamo una potenza installata più che doppia del picco della domanda.

Sono tutti indebitati e cercano compratori e alleati.

Enel ripete gli stessi errori di Enelpower,con investimenti nelle rinnovabili di dubbio ritorno economico.

L’industria elettromeccanica nazionale è sparita: Ansaldo è dei cinesi che entrano anche nel capitale dei nostri fondi infrastrutturali e nelle strutture: CDP e Terna.

13/11/2016

(continua…)

Batterie e accumuli

Le batterie sono concorrenti dell’energia solare.

L’attività di accumulo trae profitto dall’acquisto di energia elettrica,quando è a buon mercato, e dalla sua vendita, di sera, quando quando il prezzo sale.

I sostenitori del solare sono convinti che le batterie possano risolvere il problema dell’intermittenza, ma la realtà è diversa.

Sembra più redditizio caricare le batterie di notte quando i prezzi dell’energia all’ingrosso sono più bassi.

La California, uno dei primi ad adottare l’implementazione delle batterie di rete, ha raddoppiato la capacità di stoccaggio, da 6 a 12 GW, in soli due anni.

Lo stoccaggio rappresenta ora il 25% del picco della domanda.

Tutti si aspettavano una riduzione significativa del costo dell’energia elettrica al dettaglio.

Al contrario, il costo è aumentato del 62% negli ultimi due anni, mentre la produzione solare ed eolica è rimasta ferma al 26% della produzione di energia della California dal 2021.

La linea di fondo è chiara: le batterie si finanziano attraverso l’arbitraggio energetico, indifferenti dalla fonte di produzione, la maggior parte della quale proviene dal gas, il vero beneficiario di tale situazione.

Una soluzione più economica ed efficace contro il fossile sarebbe una combinazione di energia nucleare, idroelettrica e geotermica.

Francia, Norvegia, Svezia e Islanda hanno reti più “pulite” e nessuna di esse si basa pesantemente su fonti di energia intermittenti.

Quanto tempo ci vorrà perché l’Europa riconosca che ha intrapreso la via sbagliata?

Una bolletta texana

I texani sanno dove finiscono i soldi delle bollette, fino all’ultimo centesimo.

Non c’è una sigla incomprensibile come da noi e sta tutto in una pagina.

161.000 kWh costano 13.600 dollari.

3,8 centesimi di dollaro/kWh la materia prima.

Le anomalie: Terna

Terna – Trasmissione Elettrica Rete Nazionale SpA – nasce dall’ENEL il 31 maggio 1999, a seguito del decreto Bersani.

Dopo numerose operazioni societarie la situazione ad oggi è questa é la seguente:

Dal 2010 Terna fa parte del Progetto Desertec che ha come obiettivo la produzione e la trasmissione di energia rinnovabile nelle aree del Medio Oriente e del Nordafrica per soddisfare sia il fabbisogno locale che quello europeo.[6]

Nel 2011 modifica il proprio assetto societario costituendo una holding da cui dipendono due società operative interamente controllate: Terna Rete Italia e Terna Plus, ciascuna con proprio AD e CDA.

Nell’agosto 2014 il gruppo pubblico di Pechino, State Grid Corporation of China, entra con il 35% in CDP Reti, l’azienda controllata da Cassa Depositi e Prestiti che detiene il 30% di Snam e il 30% di Terna[11].

Nel 2015 Terna acquisisce la rete in Alta Tensione del Gruppo Ferrovie dello Stato.[12] 

Ha inoltre avviato la realizzazione di infrastrutture di interconnessione nazionale, quali il SA.CO.I.3 (Italia-Corsica-Sardegna),[13] e verso l’estero, tra cui i collegamenti con il Montenegro (inaugurato nel 2019)[14] e con l’Austria (operativo dal 2023).

Oggi Terna gestisce, tramite Terna Rete Italia, la rete di trasmissione nazionale: 75.000 Km di linee elettriche in alta tensione.

Delle attività di Terna Plus,il ramo internazionale, si legge solo che gestisce linee in Perù, Uruguay e Brasile.

Il fatturato di Terna Rete Italia si basa sul sistema tariffario stabilito dall’Autorità di Regolazione (ARERA).

Le tariffe vengono aggiornate, sempre in positivo, ogni quattro anni e vengono caricate sulle bollette dei consumatori italiani.

La costituzione di Terna è stata una privatizzazione molto “controllata” dal sistema politico, contrariamente a quanto successo nel settore delle telecomunicazioni.

La tabella che segue indica i principali dati economici dai quali si evince una crescita costante senza sbalzi.

Terna, e i suoi azionisti, risultano particolarmente tutelati, non esistendo rischi particolari tali da compromettere il sistema economico dell’azienda.

Ulteriori informazioni dai dati di bilancio:

– Oneri finanziari: 82,8 (2019) e 88,9 ( 2020)

– Finanziamenti a lungo e a breve nel 2020: 11,5 miliardi vale ( quattro volte il fatturato).

– immobili e impianti hanno un valore dichiarato di 12,7 miliardi nel 2020.

– Il valore di borsa nel gennaio 2022 è di circa 13,5 miliardi.

È evidente che Terna, società quotata in borsa, rappresenta un’anomalia ed è lecito ipotizzare che la politica ne chieda finalmente una ristrutturazione.

Il monopolio, tuttora in vigore, della trasmissione dell’energia elettrica in alta tensione, permette a Terna di distribuire dividendi in crescita programmata e certa, poiché ricavi e profitti sono garantiti da Arera.

La ristrutturazione di Terna sarebbe solo il primo tassello del processo di riforma del settore elettrico del paese che presenta ulteriori eclatanti anomalie.

La riforma dovrà essere attuata prima della scadenza della concessione.

La riforma dovrebbe inoltre per la prima volta, definire il reale ruolo del consumatore industriale.

La flessibilità, ricavabile dall’industria, porterebbe notevoli vantaggi per il sistema energetico, con conseguente minor costo per le imprese, miglioramento della competitività e consistente risparmio di CO2.

Si arriverebbe, finalmente, ad un allineamento alla Direttiva Europea 944 del 5 giugno 2019 e al regolamento europeo 943 di pari data.

Il codice del consumo

Ogni consumatore dovrebbe ricordare, quando tenta di capire una bolletta, il Decreto Legislativo 206 del 2005, noto anche come Codice del Consumo.

Questo prevede un “sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori” e recita:

1. Ai fini del presente capo si intende per:

a) prezzo di vendita: il prezzo finale, valido per una unità di prodotto o per una determinata quantità del prodotto, comprensivo dell’IVA e di ogni altra imposta;

b) prezzo per unità di misura: il prezzo finale, comprensivo dell’IVA e di ogni altra imposta, valido per una quantità di un chilogrammo, di un litro, di un metro, di un metro quadrato o di un metro cubo del prodotto o per una singola unità di quantità diversa, se essa è impiegata generalmente e abitualmente per la commercializzazione di prodotti specifici;

Che tutti i fornitori di prodotti, venduti a misura, come gas, acqua ed energia elettrica, devono rispettare.

Dov’è finito il metro cubo sparito dalle bollette?

Perché invece Arera ha imposto bollette che nulla hanno a che vedere con le prescrizioni di legge, che sono a difesa dei consumatori?

Incendi? Tutti zitti, parla l’esperto!

C’è un nuovo “esperto” alla Stampa che ha sentenziato così: «I roghi californiani (sono) uno dei sintomi più evidenti che la crisi climatica che ci attanaglia non accenna certo a placarsi».


L’esperto dice «crisi climatica» che è la stessa espressione che hanno adottato a The Guardian, i cui i giornalisti sono tenuti a scrivere «emergenza climatica», «crisi climatica» o «collasso climatico» mentre, al posto di «riscaldamento globale», dovrebbero scrivere «arroventamento globale».


Il titolo della Stampa riporta «Il clima malato piega la California». Un po’ poco.

In compenso ecco altre due sentenze dell’esperto: «E’ facile prevedere che un’era del fuoco è vicina», «Il punto reale è perché gli incendi stanno periodicamente flagellando regioni così diverse del globo con una frequenza sconosciuta in passato».

(E qui forse ha ragione Gianrico Carofiglio, che, in un saggio per Einaudi, ha citato un’analisi statunitense su 28mila pronostici a opera di 284 «esperti» in dieci anni, e notava, l’analisi, che «le previsioni più scadenti venivano dai soggetti più famosi e più spesso presenti sui mezzi di informazione»).

L’esperto della Stampa si chiama Mario Tozzi, e sulla sua celebrità e mediaticità, nostro limite, non sapremo esprimerci: ma qualche verifica su quanto scrive si potrebbe azzardare.

Sul fatto che gli incendi siano tra gli esempi ricorrenti in chi cerca un collegamento tra eventi meteorologici e riscaldamento globale, per cominciare, non ci sono dubbi.

Sull’«era del fuoco», che sarebbe «vicina», possiamo solo dire che la distanza è tra 1,4 e 2,3 milioni di anni, ma guardando al passato: per il futuro non sappiamo.

Sul fatto che gli incendi starebbero «flagellando regioni così diverse del globo con una frequenza sconosciuta in passato» possiamo solo dire che è falso: dal 1870 a oggi gli incendi sono nettamente calati in tutto il Pianeta, come è stato scoperto grazie all’esame degli strati sedimentari di carbone sparsi su sei continenti e che coprono l’arco di due millenni.

La ragione è banale: l’uomo ha smesso di ardere la legna e ha iniziato a bruciare i combustibili.

Si chiama transizione pirica.

L’esperto della Stampa cita dei fantomatici aumenti di incendi in varie zone del mondo, ma sono falsi: avrebbe ragione se parlassimo del solo Canada, che nel 2023 ha visto andare a fuoco il più alto numero di aree mai registrato prima; i media ne hanno dato ampio spazio.

Non hanno invece dato spazio, perché così funziona, al fatto che negli Stati Uniti, sempre nel 2023, si è registrato il più basso numero di aree bruciate dall’inizio di questo secolo.

Va da sé che a contare è la tendenza globale, certo: è per questo che la Nasa, per capirne di più, dal 2001 ha fatto orbitare dei satelliti attorno alla Terra identificando gli incendi di ogni dimensione.

Risultato: dal 2001 al 2015 (lo studio è del 2017) i roghi su scala globale sono diminuiti in maniera significativa.

Il 2022, l’ultimo anno con informazioni complete, è stato quello coi valori più bassi in assoluto: la superficie terrestre divorata dal fuoco si è ridotta dal 3,2 al 2,2 per cento.

Ignari delle opinioni di Mario Tozzi, i satelliti Nasa hanno registrato che negli ultimi 18 anni c’è stato un calo del 25 per cento delle aree bruciate: sono diminuite di oltre 1.300.000 chilometri quadrati, passando da 4,9 milioni di chilometri quadrati (nella prima parte del secolo scorso) agli attuali 3,6 milioni.

Nell’articolo dell’esperto, infine, si dice poi che gli Stati Uniti hanno le più alte emissioni di gas serra pro capite al mondo (a noi risulta che in Australia siano più alte, ma chi se ne frega) e non poteva mancare un finalone contro Trump, «un presidente che vorrebbe trivellare anche il Polo Nord».

Informiamo che al Polo Nord sono già presenti 599 siti di estrazione di gas e petrolio.

Non è che l’esperto, forse, intendesse la Groenlandia?

Nel caso c’è Kvanefjeld, il sito più ricco di terre rare di tutto il globo, elementi fondamentali per la transizione energetica globale perché trovano impiego, tra l’altro, nelle auto elettriche e nelle turbine eoliche.


Bene: il partito di sinistra Inuit Ataqatigiit, nel 2021, ha deciso di chiudere il giacimento di Kvanefjeld.